La didattica della shoah in Italia

di Alessandra Chiappano

L’insegnamento della storia contemporanea nella scuola italiana.

 Dagli anni sessanta al decreto Berlinguer

Se si ripercorrono brevemente le tappe più significative della storia della scuola italiana ci si renderà conto facilmente che l’impianto sul quale, soprattutto la scuola superiore, si regge è quello che risale alla riforma Gentile. Né la transizione verso la democrazia né le ribellioni studentesche, che scoppiarono in Italia, come in tutto il mondo, chiedendo una scuola  diversa,  cambiarono  di  molto  la  situazione,  anche  se  certe  innovazioni, soprattutto  attraverso  l’emanazione  di  nuovi  programmi  scolastici  cominciarono  a profilarsi fin dagli anni sessanta.

Se ci si concentra ora sull’insegnamento della storia e, in particolare, sulla didattica della storia è agevole constatare che mentre altre discipline avevano nel corso degli anni goduto del favore e dell’attenzione del Ministero, per cui si era avviata una profonda rivisitazione della disciplina in chiave didattica − si pensi, per esempio, all'insegnamento della letteratura italiana, che dagli anni settanta in poi è stato affrontato sempre più attraverso un’ottica testuale, privilegiando la lettura e l’analisi dei testi allo studio della semplice storia della letteratura,− la storia, anche per il fatto che viene insegnata dal docente di italiano o da quello di filosofia, è rimasta trascurata e la didattica della storia immutata, o quasi, nel tempo.

Infatti si potrà agevolmente rilevare che, pur essendo presente nei programmi fin dagli anni  sessanta il  richiamo  alla  trattazione  della  storia  contemporanea,  temi  quali l’antifascismo, la Resistenza e la costituzione sono rimasti pressoché ignorati: a stento si arrivava a lumeggiare le vicende legate  alla prima guerra mondiale. Anche per quanto riguarda la scuola  media  il  richiamo  alla  trattazione  della  guerra  di liberazione  e della Resistenza  era  stato  reso  esplicito  nei  programmi  più  o  meno  nello  stesso  periodo.

Tuttavia  molti  docenti  ritenevano che trattare  questi  temi  significasse  “fare politica”  e per questo generalmente dedicavano a questi argomenti uno spazio del tutto marginale.

Il  tema  dell’insegnamento  della  Resistenza  e  dell’antifascismo  venne  trattato  in  un convegno  nazionale  tenutosi  a Ferrara il 14 e il  15 novembre  1970. Il convegno a cui parteciparono fra gli altri Guido Quazza, Claudio Dellavalle, Lamberto Borghi si poneva il problema di come insegnare la Resistenza ai giovani e di analizzare come questo tema era affrontato nei libri di testo. Tutti gli interventi posero in rilievo la necessità di evitare un  insegnamento  agiografico  e  celebrativo,  per  riproporre  invece  uno  studio  critico, capace di risvegliare curiosità e soprattutto di attivare nei giovani una mentalità critica e aperta.

Claudio  Dellavalle,  nel  suo ampio saggio sui  libri  di testo, dopo aver preso in  esame  i manuali più diffusi nelle scuole medie di Torino, ravvisava una serie di manchevolezze: innanzi  tutto  quasi  tutti  i  testi  presi  in  esame  avevano  aggiunto  la  parte  relativa all’ultimo periodo di storia in  modo per lo più  approssimativo e frettoloso, quasi che si trattasse di aggiungere una fredda elencazione di dati e nomi, inoltre a suo parere quasi tutti i testi presentavano:

«il processo storico come successione di accadimenti, di fatti importanti, di guerre e di paci, di trattati,  di  istituzioni,  di personaggi. E’  una  concezione  di storia che  sul  piano [1] scientifico  ha  avuto  una  sua  scuola  nel  passato,  ma  che  dal  punto  di  vista dell’apprendimento richiede soprattutto sforzo mnemonico»[2]

Esaminando  in  esame  i  testi  e  analizzando  la  descrizione  che  offrivano  di  certi accadimenti si poteva  notare, ad esempio, che  della  monarchia e del suo comportamento dopo l’annuncio dell’armistizio veniva dato un giudizio edulcorato, che mirava a tacere le responsabilità di casa Savoia.  

Anche  la  trattazione  vera  e propria  della  Resistenza  lasciava  perplessi:  la costituzione delle  bande  di  civili era  spesso  sottaciuta,  mancava  qualsiasi  riferimento  alla composizione sociale delle formazioni partigiane, nessun testo ricordava gli scioperi del 43 e quelli ancor più imponenti del 44. Confusi apparivano anche i riferimenti al CLN e alla sua composizione, né si menzionava l’esperienza delle repubbliche partigiane.

In conclusione secondo Dellavalle: «[…] Come la maggior parte dei manuali presi in considerazione dimostra ampiamente, i canali tra storia e formazione civile sono chiusi. Noia e fastidio per una lezione non facile sono  forse  le  uniche  impressioni  che  un  ragazzo  può  derivare  dalla  storia  della Resistenza quale gli viene presentata dal libro. Se gli verranno altri stimoli o curiosità da soddisfare, è probabile  che  provengano dall’esterno,  dalla  famiglia, dai giornali  o dalla televisione,  certamente  non  dalle  interpretazioni  riduttive  dei  manuali.  […] il  richiamo più  o  meno  esplicito  alla  Resistenza,  c’è  in  tutti,  poiché,  bene  o  male,  l’ordinamento costituzionale ne è l’eredità, ma si ferma qui. Si tratta di mera forma».

I giovani che  alla fine degli anni sessanta iniziarono a ribellarsi anche contro la scuola autoritaria e repressiva reagirono con stupore di fronte alla chiusura di certi docenti, che pure avevano partecipato alla vicenda resistenziale.

Come osservò Guido Quazza: «Gli  studenti  hanno  visto  che  molti  docenti  ex combattenti  della  Resistenza,  di  fronte alla  richiesta  di  una  discussione  politica  immediata,  reagiscono  negativamente, esattamente come quelli che la Resistenza non l’avevano fatta»[4].

Da qui secondo  Quazza  la necessità  di riprendere il  dialogo con le  giovani  generazioni anche  sul  tema  della  Resistenza,  cercando  di  riannodare  i  fili  di  una  memoria  storica sfilacciata, anche a causa di uno studio scolastico lacunoso ed impreciso. Per gli studenti degli  anni  settanta  era  vitale  l’intreccio  Resistenza-presente,  come  viene  sottolineato dallo studente Rimondi che intervenne al convegno proprio su questo tema.[5]

Se  la  situazione  nelle  scuole  presentava  ancora  uno  studio  della  storia  mnemonico tradizionale e noioso, i giovani insegnanti che avevano in qualche modo partecipato alle lotte  studentesche  e  si  erano  forgiati  una  coscienza  civile  nuova  e  che,  sulla  scorta dell’esperienza milaniana, lottavano per una  scuola nuova iniziarono a proporre ai loro studenti  esperienze  diverse,  che  avevano  nell’intreccio  tra  il  passato  e  il  presente nonché  nello studio della storia contemporanea il punto di forza.

Tuttavia  queste  esperienze,  fiorite  soprattutto  negli  anni  settanta,  rimasero  marginali, come risulta  da una  indagine  sui  bisogni  formativi  degli  insegnanti  di storia, compiuta dal  Provveditorato  agli  Studi  di Milano  nel  1997:  dai dati  emerge  che  la  maggioranza degli  insegnanti  usava  come  metodologia  privilegiata  la  lezione  frontale  e come  unico strumento il libro di testo, soprattutto nella  scuola superiore,inoltre  i temi della storia contemporanea  erano  trattati  in  modo  assai  limitato  e  raramente  la  shoah  rientrava negli argomenti affrontati in classe.

E' pur vero che il Ministero della Pubblica istruzione, fin dal 1993, aveva attivato una serie di corsi residenziali svoltisi a Latina, presso il Liceo Scientifico «Majorana», scuola−polo a livello nazionale per la didattica della storia, ed è vero, per esperienza diretta della scrivente, che si è trattato di esperienze feconde, in cui, partendo dall'analisi dei programmi Brocca, (che contenevano una serie di indicazioni preziose, che andavano proprio nella direzione di un significativo cambiamento nell'insegnamento della storia), si è cercato di costruire una serie di percorsi possibili e di offrire ai colleghi una serie di spunti su cui riflettere per attivare un cambiamento significativo e capace di incidere nella didattica della storia. Già allora, mi riferisco agli anni 1995-97, si parlava di approccio critico ai documenti e di laboratorio di storia. Ma è pur vero che queste esperienze non si sono effettivamente radicate e disseminate nel territorio, a parte pochissimi isolati casi.

Nonostante  gli  stimoli,  lo studio  della  Shoah era  raramente  affrontato  e se lo  era, ciò avveniva,  quasi  sempre,  in  connessione  con  lo  studio  della  seconda  guerra  mondiale. Del  resto  i  libri  di  testo  non  aiutavano  in  questo  senso:  al  tema  della  persecuzione ebraica  venivano  dedicate  poche  parole,  nei  casi  migliori  si  trovava  anche  qualche lettura.

In questo contesto, nonostante  ci sia  attenzione verso la storia  del Novecento nel suo complesso  da parte  di  molti  docenti  e  nei  confronti  del  tema  specifico  della  shoah in particolare è solo con il decreto Berlinguer[6] che la situazione cambia radicalmente.

Il decreto Berlinguer, da questo punto di vista, è stato il punto di partenza. Infatti la decisione del ex ministro di dedicare allo studio del Novecento l’ultimo anno di ogni segmento di scuola creò le premesse non solo per affrontare la storia del Novecento in classe, ma anche per promuovere una riflessione ben più ampia sulla didattica della storia. Infatti l’entrata in vigore del decreto Berlinguer, che è stato accompagnato da feroci critiche soprattutto da parte di chi pensava che la storia del Novecento non fosse insegnabile, perché troppo vicina a noi, oppure da parte di chi temeva un uso strumentale e politico della storia contemporanea, ha, di fatto cambiato l’insegnamento della storia e soprattutto ha messo in moto una serie di riflessioni da parte di storici, docenti, associazioni professionali e in questo quadro gli Istituti storici della Resistenza hanno avuto un ruolo significativo nel promuovere tali cambiamenti. Tali riflessioni non erano del resto più eludibili e si sono focalizzate su alcuni temi centrali:l’insegnamento della storia nel suo complesso, la trasmissione e la costruzione della memoria storica. La ricerca dei nodi salienti e dei percorsi più significativi all’interno della storia del Novecento, che per la sua grande ricchezza e per la sua straordinaria complessità si offre ad una pluralità di letture e di possibili tematizzazioni, è stata oggetto di un ampio variegato dibattito che ha coinvolto insegnanti, riviste specializzate, associazioni professionali e disciplinari. 

 

Le  sperimentazioni  negli  anni  settanta-ottanta  sul  tema  della  deportazione  e  della Shoah

 

Anche  sulla  scorta  delle  spinte  innovative  che  introdussero  nella  scuola  i  giovani  che avevano  partecipato  attivamente  alle  rivolte  studentesche  e che  avevano  promosso  in Italia come in Germania un serrato confronto con la generazione dei padri sul “passato che  non  passa”  nel  corso  degli  anni  settanta,  soprattutto  nelle  scuole  medie  gli insegnanti iniziarono a parlare agli studenti di temi quali la deportazione e lo sterminio degli  ebrei.  Si  trattava  di  trattazioni  spesso  assai  superficiali  e  che  furono  indotte soprattutto dalla lettura di alcuni testi canonici come il Diario di Anna Frank, Se questo è un  uomo di Primo  Levi  e La tregua.  A questo  proposito  vale  la  pena  di ricordare  la creazione  di  una  collana  di  volumetti  editi  da  Einaudi  chiamata  Letture  per  la  scuola media: in tale collana furono pubblicati in edizione commentata molti volumi di scrittori del  Novecento,  tra  cui  quelli  sopraccitati.  Questa  collana  ebbe  una  grandissima diffusione  e contribuì  a far  entrare  nella  scuola  certi  temi.  Si  tenga  conto  poi  che  nel 1975  si  celebrò  il  trentennale  della  Resistenza  e  anche  tale  celebrazione  spinse  molti insegnanti a trattare in classe certi aspetti della storia del Novecento.

A fronte di questo nelle scuole superiori la situazione restò invece pressoché immutata e raramente  i  docenti  tratteggiavano  al  storia  del  fascismo  o  della  seconda  guerra mondiale.

Come spesso accade in una società fortemente condizionata dalle produzioni mediatiche un momento di svolta che impresse un acceleramento rispetto all’interesse e allo studio della  shoah fu  rappresentato  dallo  sceneggiato  televisivo Olocausto:  di  produzione americana su sceneggiatura di Gerald Green racconta la storia di due famiglie tedesche una  ebraica  che  subisce  la  persecuzione  mentre  l’altra  si  nazifica.  Lo  sceneggiato propone  tutte  le  tappe  dello  sterminio  ebraico  in  Europa:  da Baby  Yar  alla  rivolta  nel ghetto di Varsavia, fino alla liberazione di Auschwitz. Il cast di attori era ottimo, vale la pena  di  ricordare  Meryl  Streep.  La  critica  fu  complessivamente  positiva  anche  se  non mancarono  le  note  critiche  come  quelle  pronunciate  da  Elie  Wiesel;  lo  sceneggiato  fu visto  in  America  e  in  Europa  da  più  di  220  milioni  di  spettatori  e  soprattutto  nella Germania  Federale  suscitò  un  ampio  dibattito  che  diede  nuovo  impulso  alla  ricerca storica.

In  questo  quadro  vanno  però  ricordato  almeno  le  esperienze  che  sono  state  fatte  a partire  dagli  anni  ottanta  e  per  tutto  il  decennio  successivo  grazie  al  coinvolgimento della  Regione  Piemonte  in  collaborazione  con  l’ANED  e  il  Comitato  della  Regione Piemonte  per l’affermazione dei valori della  Resistenza e dei principi  della  Costituzione Repubblicana[7].  Tali  enti  hanno  promosso  visite  di  studio  nei  campi  di  nazisti. L’iniziativa  era  diretta  agli  studenti  delle  scuole  superiori:  a  studenti  e  insegnanti vengono  proposte  tracce  su  cui  produrre  elaborati  o ricerche,  i  testi  migliori  vengono premiati  con  il  viaggio  di  studio,  in  genere  la  meta  è Mauthausen..  Si  è  trattato  di un’iniziativa  che  è  stata  estremamente  lodevole  e  che  ha  visto  il  coinvolgimento  di migliaia di studenti e di moltissimi docenti. Se si scorrono i dati quantitativi raccolti nel volume curato da Enzo Traverso, Insegnare Auschwitz, che costituisce una pietra miliare nel  quadro  della  didattica  della  shoah[8], si  nota  che  il  numero  maggiore  di  studenti coinvolto  viene  dalle  province  e  l’indirizzo  di  scuola  più  largamente  presente  è rappresentato dai licei, soprattutto scientifici, subito seguiti dagli istituti  magistrali. Gli insegnanti  coinvolti  sono  stati  più  di  ottanta  e  i  temi  proposti  si  sono  concentrati soprattutto sulle tematiche  della deportazione in senso lato (quella  politica  e razziale, non  mancano riferimenti  anche  all’internamento militare) e a seguire  della  Resistenza. Nei primi anni la traccia era unica poi si passa a due e infine nel 1985 a quattro.

 

Dal decreto Berlinguer ad oggi

 

A partire dal decreto 681, noto come decreto Berlinguer, si assiste ad una vera e propria esplosione. Cresce l’intereresse per la shoah, si moltiplicano le iniziative. E’ in questo contesto che anche le singole istituzioni scolastiche cominciano a promuovere ricerche e studi sul tema delle leggi razziali, della espulsione di insegnanti e studenti ebrei dalle scuole. Tali ricerche in molti casi prendono l’avvio dall’analisi dei documenti d’archivio conservati nelle scuole. Si apre così una stagione feconda di ricerche che hanno come punto di partenza gli archivi delle scuole stesse, autentiche miniere inesplorate, anche se spesso i documenti si trovano con difficoltà ed occorre procedere a un paziente lavoro di risistemazione e riordino del materiale. Su questi temi occorre ricordare la pubblicazione che si riferisce nello specifico alle vicende legate ai licei milanesi Berchet e Carducci, in cui sono raccolti gli esiti di alcune giornate di studio svoltesi nel 1995[9]

Nell’ambito delle iniziative che si andarono sviluppando in quegli anni così ricchi di molteplici esperienze, occorre ricordare il convegno promosso dall’Università Cattolica di Milano Educare dopo Auschwitz[10],i cui esiti sono confluiti in una pubblicazione curata da Giuseppe Vico e Milena Santerini, che da tempo si occupa di didattica della shoah e che più recentemente ha contribuito alla riflessione sulla necessità di calibrare l’insegnamento della shoah in un contesto multiculturale, quale è quello di oggi[11].

Nel 1998 si è celebrato l’anniversario dell’emanazione delle leggi razziali, tale evento è stato particolarmente sentito . L’allora presidente della Camera, onorevole Luciano Violante, promosse una bellissima pubblicazione[12] in cui si riproponeva una copia fedele all’originale delle leggi razziali corredata dall’iter parlamentare e preceduta da una serie di saggi di uomini politici (Luciano Violante, Oscar Luigi Scàlfaro, Bill Clinton, Vaclav Havel) e di importanti studiosi, come Michele Sarfatti, Gadi Luzzato Voghera, Corrado Vivanti. Lo stesso Presidente Violante, in collaborazione con l’Istituto Nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia e il Ministero della Pubblica Istruzione, nell’ambito del protocollo di intesa tra INSMLI e Ministero, promosse una giornata di studio svoltasi a Roma il 3 dicembre 1998 presso la Camera dei Deputati, Palazzo S. Macuto, Sala del Refettorio dal titolo L’invenzione del nemico. Sessantesimo anniversario delle leggi razziali[13].

Le ricerche sugli archivi scolastici hanno avuto un enorme successo e si sono diffuse capillarmente in Piemonte, nel Veneto e in altre regioni, tra l’altro contribuendo a sollevare un ampio dibattito anche in campo storiografico.

 

Il progetto ministeriale I giovani il Novecento e la memoria

A partire dal 1998 e per i tre successivi anni scolastici il ministero della Pubblica Istruzione ha lanciato su scala nazionale il progetto I giovani, Il Novecento e la memoria. Esso ha coinvolto migliaia di studenti e ha spinto insegnanti e studenti ad interrogarsi su certi temi specifici della storia del Novecento, quali la deportazione politica e razziale, le discriminazioni e i campi di sterminio. Come si ricorderà, ogni scuola, per ottenere un finanziamento, doveva presentare alle Commissioni Provinciali per la Storia, istituite in ogni provveditorato per facilitare la riflessione sulla didattica della storia del Novecento, lo schema del progetto elaborato che, attraverso un adeguato approfondimento dei contenuti storici, poteva concludersi con la visita ad un luogo della memoria, ovviamente connesso al percorso prescelto. Non si è trattato, quindi, di visite ai campi di concentramento svincolate da un aggancio didattico, come se si volesse fare del turismo macabro, ma di veri e propri percorsi studiati ad hoc che prevedevano come esito finale e di verifica del progetto stesso, la visita ad un lager.

In tutto il territorio nazionale, dunque, insegnanti e studenti hanno iniziato un lavoro di notevolissime dimensioni, spesso raccogliendo gli esiti del proprio progetto in dattiloscritti,  testi  a  stampa  o  in  prodotti  multimediali.  In  questo  i  docenti  sono  stati supportati  dalle  svariate  agenzie  educative  presenti  nel  territorio,  cometa  Fondazione

CDEC, l’ANED, l’ INSMLI.  Quasi  sempre  i percorsi  elaborati  avevano nell'incontro con i testimoni uno dei momenti salienti.

Le mete verso le quali studenti e docenti si sono diretti sono state varie, più spesso sono stati privilegiati i campi di concentramento presenti in Germania, per motivi logistici.

E’  questo  contesto  di  attenzione,  anche  a  livello  internazionale  sulla  shoah e  il  suo insegnamento che nasce la Task Force for International Cooperation on Holocaust Education, Remembrance  and  Research un  organismo  internazionale  costituito  nel  1998  su impulso del  primo ministro svedese. Ne fanno parte venti  paesi. I compiti  che la  Task Force si prefigge sono di rafforzare l'educazione  all'Olocausto e alla memoria, non solo nei paesi promotori, ma soprattutto nei paesi dell'est che si trovano ora, dopo la caduta del muro di Berlino,  impegnati  in  un  difficile  processo di ricostruzione  della loro storia passata. In quest'ottica all'interno della Task Force si è dato avvio a progetti che hanno come obiettivo principale la  formazione  degli  insegnanti  sul  tema  della  Shoah, la traduzione  di  testi  scolastici  ad  hoc,  il  recupero  e  la  conservazione  dei  luoghi  della memoria.  La  Task  Force si  riunisce  in  media  due  volte  l'anno  in  seduta  plenaria:  la presidenza è gestita da uno dei paesi membri per un periodo di un anno. Nel 2004-2005 la presidenza è stata italiana e nel 2005-2006 passerà alla Polonia.

La Task Force si è imposta all’ attenzione internazionale durante il Forum sull' Olocausto che si è svolto a Stoccolma, dal 26 al 28 gennaio 2000. Ad esso hanno partecipato sette capi  di  governo  e  quarantasette  delegazioni  da  tutto  il  mondo,  di  cui  facevano  parte studiosi e testimoni.

I  rappresentanti  dei  governi  hanno  sottoscritto  la  Dichiarazione  di  Stoccolma,  con  la quale i singoli paesi si sono impegnati a:

 

Tenendo fede agli impegni assunti in seno alla  Task Force in Italia è stato istituito, con una legge del 2000, il giorno della memoria e la data prescelta, come del resto in molti paesi d’Europa, è stata quella del 27 di gennaio.

Tra  gli  organismi  della  Task  Force  merita  particolare  attenzione  l’Education  Working Group  che  è  composto  da  pedagogisti  ed  educatori  esperti  nel  campo  della  didattica della shoah. Il compito precipuo di tale gruppo è quello di promuovere l’insegnamento, il ricordo e la ricerca sulla  shoah. In particolare questo gruppo di lavoro ha elaborato un

importante  documento  le  Linee  guida  per  l’insegnamento  della  shoah  nelle  scuole. In questo  breve  volume  di  sintesi  il  gruppo  ha  cercato  di  rispondere  soprattutto  a  tre quesiti fondamentali: perché insegnare l’Olocausto; cosa insegnare sull’Olocausto; come insegnare l’Olocausto[14].

A latere di questo impegno italiano grazie ad accordi bilaterali tra il governo israeliano e quello italiano nel settembre 2000 20 insegnanti italiani furono selezionati per frequentare un corso intensivo di 120 ore sulla shoah presso l’Istituto storico Yad Vashem di Gerusalemme. Chi scrive ha avuto la fortuna di essere uno fra i venti prescelti. Si è trattato di un’esperienza ricchissima sia sul piano professionale che umano. Il corso è stato di altissimo livello ed ha permesso a molti che già avevano una certa dimestichezza con la materia di affinare le proprie conoscenze  e nello stesso tempo di confrontare sistemi educativi diversi come quello israeliano e italiano.

Purtroppo il mutare dello scenario internazionale non ha più reso possibile il ripetersi di una esperienza così notevole; oggi forse il contesto più favorevole potrebbe aprire spiragli in tal senso.

Nel maggio 2001 anche per diffondere gli esiti del seminario seguito a Yad Vashem  si è tenuto il primo seminario nazionale sulla shoah a Varese, i cui atti[15], sono disponibili presso il liceo Galileo Ferraris di Varese. Si è trattato di un momento importante perché oltre a storici importanti come Collotti, Sarfatti, Picciotto, Pezzetti si sono confrontati

con la tematica della shoah più di sessanta docenti provenienti da tutta Italia.

Accanto alle istituzioni si sono mosse su questi stessi temi, soprattutto a partire dall’emanazione della Giornata della Memoria le associazioni e quindi si è assistito ad un fiorire di attività.

Ad esempio l’importante convegno svoltosi a Mirano (Venezia), i cui atti Pensare e insegnare Auschwitz sono stati recentemente pubblicati per i tipi di Franco Angeli Editore.

Infine i seminari organizzati in sede locale, spesso con il contributo degli istituti storici della Resistenza. In particolare mi sembra utile citare il seminario residenziale sulla didattica della shoah significativamente chiamato Futuro Antico, organizzato dall’istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea in Ravenna e provincia in collaborazione con l’Istituto nazionale perl a storia del movimento di liberazione in Italia, giunto nel gennaio 2005 alla sua quarta edizione. Anche di questa iniziativa sono sempre stati puntualmente pubblicati gli atti che possono contribuire a sensibilizzare i docenti sulle tematiche relative alla didattica della shoah[16].

Per quanto riguarda i libri di testo, a parte alcune eccezioni, ad esempio il manuale curato tra gli altri da Marco Fossati La città dell’uomo, e I fili della memoria curato da Anna Bravo, Anna Foa,Lucia Scaraffia e il testo di Francesco Maria Feltri[17], sono i soli che presentino, seppure in modo succinto, qualche informazione specifica sulla shoah. In generale invece gli altri testi vi dedicano solo qualche paragrafo all’interno di capitoli dedicati alla trattazione della seconda guerra mondiale. Inoltre spesso i manuali sono pieni di imprecisioni, di confusioni, di dati fuorvianti.

Occorre ricordare però che sono state pubblicati alcuni volumi monografici espressamente dedicati alla shoah e rivolti al mondo della scuola[18]. Si tratta generalmente di volumetti di agile consultazione che consentono agli studenti e  agli insegnanti di acquisire alcune nozioni fondamentali su una materia di enorme complessità e su cui la storiografia e la ricerca continuano a produrre studi innovativi.

Nel corso degli anni novanta anche l’attenzione che al tema della shoah hanno attribuito i media ha finito per essere motivo di riflessioni e dibattiti, anche accesi.

Penso  allo  straordinario  successo  di  un  film  come  “Schindler’s  list”  diretto  dal  regista americano Steven Spielberg, a quello tanto dibattuto diretto da Roberto Benigni “La vita è  bella”.Come  è  facile  intuire  questa  attenzione  ha  avuto  notevoli  ripercussioni  anche nel mondo della scuola 

 

La shoah è un nodo della storia del Novecento?

Occorre riflettere su un punto centrale la shoah è un nodo irrinunciabile della storia del Novecento? E se sì quale è l’approccio più corretto?

La  storia  del  XX  secolo  appare  fortemente  segnata  dalla  presenza  di  due  forme  di totalitarismo, ma nonostante  si possano ravvisare  anche somiglianze  e  complicità fra i due totalitarismi del Novecento, quello nazista, inventore di Auschwitz, si impone come un unicum nella storia europea.[19]

Quest'ultimo  si  è  apprestato  infatti  a  cancellare  dalla  faccia  della  terra,  gli  oppositori politici, i comunisti, gli zingari, gli asociali, i malati di mente, e gli ebrei colpevoli solo di questo, di  esistere in quanto tali. Per questa ragione il progetto nazista appare in tutta la  sua  mostruosità,  e  segna  la  recente  storia  europea,  quasi  come  una  cesura  fra  un prima  e  un  dopo.  Eppure  non  bisogna  neppure  lasciarsi  attrarre  da  un  approccio  di segno totalmente diverso, e a mio giudizio assai pericoloso, ossia lasciarsi attrarre dalla impossibilità  di  spiegare  Auschwitz,  giacché  ogni  spiegazione  comporterebbe  una relativizzazione.  Non  solo  Auschwitz  va  spiegato,  ma  va  fatto  proprio  dalla  storia  e dall'insegnamento  della  storia,  se  davvero  condividiamo  l'idea  che  la  storia  sia  una disciplina formativa, in grado di fornire  agli studenti  una  visione critica, uno dei valori che  la nostra scuola ha il dovere di trasmettere.

 La shoah è un paradigma dell’annientamento dell’altro, del diverso.

Come  oramai  è  riconosciuto  dagli  storici[20],  anche  l’Italia  fascista  ha  contribuito  in modo  non  irrilevante  alla  riuscita  del  progetto  nazista  riguardante  la  distruzione  degli ebrei,  prima  con  l’adozione  delle  leggi  razziali  nel  1938  e  poi  con  la  caccia  all’ebreo durante  gli  anni  dell’occupazione  tedesca:  gli  arresti  avvenivano  spesso  grazie  alla polizia italiana.

E’ quindi giusto che nelle scuole si analizzi il percorso storico che portato all’eliminazione di più di settemila cittadini italiani, di religione ebraica, è giusto che gli studenti sappiano quale era esattamente il progetto che il nazifascismo aveva in mente, quale era la loro idea di Europa.

Insegnare  Auschwitz, quindi  per  parafrasare  il  fortunato  libro  a  cura  di  Enzo Traverso, significa  rendere  i giovani  consapevoli  di  quello  che di mostruoso ha  saputo creare l'homo faber guidato da un potere per certi aspetti diabolico, ma non solo perché conoscano quello che è avvenuto nei campi della morte, ma perché sappiano che certe situazioni  possono  ripetersi,  certo  non  identiche  a  se  stesse,  ma  con  esiti  altrettanto devastanti.

Insegnare Auschwitz, significa dunque far riflettere i giovani sul tema delle minoranze, sulla  pericolosità  di  certe  estremizzazioni,  significa  mettere  i  giovani  a  contatto  con  i testimoni  e,  quindi,  avviare  quel  processo  di  trasmissione  della  memoria  storica,  che come si  è detto, è venuto  a mancare, ed è anche un  modo per costruire  un  percorso nell'ambito della  storia  del Novecento che  abbia come  perno un  insegnamento  etico e civile.

Per quanto riguarda l’approccio didattico uno dei primi problemi che si pongono è quello della  comparazione  storica:  è  lecito  confrontare  la  shoah  con  altri  eventi  tragici  della storia, dai bombardamenti atomici in Giappone, alla devastazione di Dresda, al sistema concentrazionario  sovietico.  La  comparazione  in  realtà  non  solo  è  un  procedimento storiograficamente  corretto,  ma  risulta  efficace  sul  piano  didattico,  specie  quando risponde  a  specifiche  sollecitazioni  da  parte  degli  studenti.Si  rischia  altrimenti  di collocare  la  shoah su  un  piano metastorico,  che  ne  pregiudica  la  comprensione all’interno  del  processo  storico  comprensivo.  E’  tuttavia  indispensabile  inquadrare  con assoluto  rigore  ogni  evento  all’interno  di  specifiche  coordinate  storiche,  evitando  con cura  ogni  forma  di  assimilazione  sommaria,  che  si  presta  ad  inevitabili  e  fuorvianti semplificazioni.

Per quanto riguarda la trasmissibilità di tale evento è preferibile anche per i motivi già accennati in precedenza optare per una trattazione di lungo periodo, all’interno della quale si possa esaminare la storia ebraica nel suo divenire, piuttosto che ricorrere ad una spiegazione legata all’evento specifico dello sterminio nel contesto della trattazione

della seconda guerra mondiale o del nazismo. L’ipotesi dunque di una trattazione che si svolga in un arco di tempo più disteso e che veda il coinvolgimento anche di altre discipline, oltre alla storia, appare di gran lunga preferibile, anche se non priva di difficoltà.

La ricorrenza del Giorno della Memoria, con il richiamo esplicito ad organizzare momenti di  riflessione  e  di  studio  all’interno  delle  scuole  espone  gli  studenti  italiani,  come  del resto  quelli  di  molti  altri  paesi  europei,  al  rischio  di  una  “sovraesposizione”  a  questa tematica,  che  spesso  si  traduce  in  reazioni  di  allontanamento  e  disinteresse  e saturazione.

Gli insegnanti sollecitati quindi dalla Giornata della memoria nutrono un notevole interesse per la shoah, ma spesso si trovano disarmati e quindi si rivolgono ad esperti oppure ai testimoni. Le richieste alle associazioni che si occupano di didattica della shoah nei mesi di gennaio e febbraio sono numerosissime. Personalmente ritengo che questo approccio relegato in un momento particolare dell’anno sia del tutto controproducente e rischia di generare negli studenti fastidio e disattenzione. Inoltre la ritualizzazione e la commemorazione non sono esenti dai pericoli di una eccessiva banalizzazione, esattamente come è accaduto per altre date simboliche, come ad esempio il 25 aprile, che oggi per la maggior parte degli studenti non significa nulla.

Inoltre il concentrare tutta l’attenzione sulla shoah, ossia su una vicenda tragica e luttuosa fa sì che gli studenti identifichino gli ebrei e la loro storia complessiva come una storia fatta solo di dolore e di lutto, in questo modo inoltre si finisce di ignorare la millenaria presenza ebraica nella storia dell’umanità: come se degli ebrei e della loro cultura fosse lecito parlare nel momento della loro distruzione.

A mio avviso è fondamentale  evitare dunque che l’insegnamento della  shoah  si riduca ad  una  serie  di  interventi  tutti  concentrati  attorno  al  giorno  della  memoria  (come  si trattasse di un obbligo legato alla legge), oppure nell’ambito del programma dell’ultimo anno di corso, senza che si costruisca un percorso armonico che, partendo almeno dalla terza classe, dia ragione di chi erano gli ebrei e come vivevano in quanto minoranza in una  Europa  cristiana  ed  intollerante.  Solo  così,  ripercorrendo  a  grandi  linee  la  storia degli  ebrei,  dalla  diaspora  fino  alla  emancipazione,  si  potrà  poi  ragionare  sulla  shoah, altrimenti  si  rischia  che  l’insegnamento  di  questo  evento  risulti  completamente  de- contestualizzato, sacralizzato e su  questa china  è facile  immaginare  che non si otterrà un  apprendimento  destinato  a  durare,  ma  piuttosto  si  alimenteranno  quegli  stereotipi che sono ancora oggi molto diffusi.

Infatti  anche  per  quel  che  concerne  l’insegnamento  della  shoah, se  non  si troveranno efficaci  strategie per  trasmettere  la  memoria  di  questo  vento  tragico  e  luttuoso, ragionando sulla lacerazione che il mondo occidentale si è inferto eliminando una parte della  sua  popolazione,  accadrà  inevitabilmente  che  si  giunga  alla  saturazione,  che comporterà  una  inesorabile  perdita  di  quella  memoria  storica  che  si  vorrebbe  invece consegnare alle nuove generazioni.

Su  questi  interrogativi  e  sulla  necessità  di  individuare  linee  guida  per  inserire  nel curriculum  un  approccio  alla  shoah  che  tenga  conto  del  contesto  multiculturale  in  cui operiamo  si  è  svolto  sotto  l’egida  della  presidenza  italiana  della  Task  Force,  in collaborazione con il MIUR un seminario a Montecatini dal 28 febbraio al 2 marzo 2005.

In questo contesto, grazia anche ai contributi degli esperti dell’Education Working Group della  Task  Force  si  è  ragionato  sui  metodi  più  corretti  per  proporre  una  storia  della shoah che tenga conto di una pluralità di letture e di interpretazioni.

 

Educare ai luoghi della memoria e qualche conclusione

 

A parere di chi scrive la didattica della shoah dovrebbe ruotare intorno a due cardini imprescindibili, se si desidera davvero produrre negli studenti un apprendimento duraturo e profondo: emozione e conoscenza.

L’emozione può essere provocata dall’incontro con il testimone, che va però preparato, perché gli studenti devono sapere che chi parla racconta la sua esperienza che non può in nessun modo tradursi in una lezione generale sulla deportazione e lo sterminio. Il testimone è essenziale perché ci costringe a rapportarci con una storia ed un’esperienza terribili, ma non è la storia! Il ragionamento è analogo per i luoghi della memoria: essi sono un formidabile elemento per raccontare, per comprendere quanto è accaduto, ma è necessario che le visite siano preparate con grande attenzione e puntualità, altrimenti nessuna di queste esperienze, l’ascolto del testimone così come la visita ad un campo potrà trasformarsi in apprendimento, perché verrà a mancare l’altro anello quello della conoscenza che il solo vero elemento che ci permette di tentare di capire quanto è accaduto.

Educare ad un luogo di memoria significa, soprattutto, insegnare a leggere quel luogo e a leggervi anche le sovrapposizioni che la storia, con il suo passare, imprime. Significa capire i meccanismi che regolano l'uso pubblico che si fa della memoria di un luogo. Significa capire che per i testimoni, guide privilegiate perché in quei luoghi hanno vissuto, quegli stessi hanno un impatto ed una valenza emotiva profondissima.

Occorre  che  gli  studenti  sappiano  che  oggi  Dachau,  Buchenwald,  Auschwitz  non  sono quello che erano ai tempi dei signori della guerra, che anche i monumenti ai morti, o i musei,  hanno  finito  per  snaturare  il  luogo  rispetto  a  quello  che  era.  Occorre  che  gli studenti sappiano che per entrare in sintonia con il luogo della memoria bisogna tenere presenti questi aspetti e cercare di ricostruire quel luogo nella propria mente, come era allora.

La chiave di lettura potrebbe essere sentire il luogo, immergersi in esso ed accoglierlo in sè[22] e  se  questo  può  essere  un  percorso  individuale  (che  insegnante  e  studente compiono  per  loro  conto),  occorrerà  poi  trasformarlo  in  una  esperienza  collettiva  e condivisa,  affinché  assuma  una  rilevanza  didattica  e  formativa.  Educare  ai  luoghi  di memoria  significa,  in  ultima  analisi,  avere  la consapevolezza,−contro  ogni tentativo  di cancellazione  della  memoria,  come  dei suoi  luoghi−,  dell'importanza  che  certe  località hanno per tutti gli uomini che si riconoscano in certi valori fondamentali.

Sulla  moltiplicazione  dei  viaggi  della  memoria,  che  si  sono  susseguiti  anche  se  il progetto  così  innovativo voluto  dall’Ispettrice  Anna  Sgherri,  che  aveva  curato  complessivamente  il  progetto  globale  sulla  storia  del  Novecento  non  è  stato  più finanziato, ha scritto pagine  estremamente  incisive  Annette  Wieviorka in un suo recentissimo libro Auschwitz, 60 ans après[23] in cui si interroga sulla ricaduta didattica che i viaggi della memoria possano avere su studenti così lontani da quel passato.

Infatti se si pensa ad Auschwitz si deve sapere che allora era una immensa struttura concentrazionaria e ora il campo è del tutto diverso quello che era, perché Auschwitz 1 è un museo, e i blocchi in cui erano alloggiati i prigionieri oggi ospitano le sale di questo museo, mentre Birkenau, oggi appare ai nostri occhi come una landa desolata, un immenso spazio quasi vuoto e non è facile immaginarsi come poteva essere, con le sue trecento baracche e le strutture di messa a morte, ora distrutte.

E’ necessario che gli studenti comprendano in che misura l’intervento dell’uomo ha modificato il luogo, lo ha snaturato, lo ha fatto divenire altro.

Dunque senza una didattica capace di coniugare il cuore e la ragione si mancherà l’obiettivo fondamentale, la ragion d’essere del nostro essere educatori in questo nuovo millennio così ricco di sfide.

* Responsabile del settore didattico dell’ INSMLI e  della Fondazione Memoria della Deportazione, Milano.

[1]Cfr i programmi della scuola superiore del 1960:

 PROGRAMMI DI STORIA

(modificati con il D. P. R. 6 novembre 1960, n. 1457

III Liceo classico, V Liceo Scientifico IV Magistrale L’età  contemporanea La Restaurazione. Contrasti e lotte per la libertà  e l’indipendenza  dei popoli.

I problemi del Risorgimento. Il 1848 in Europa e in Italia: guerre e lotte per l’indipendenza italiana. Lo Stato unitario italiano: problemi, contrasti e sviluppi.

I grandi problemi mondiali alla fine del secolo XIX: trasformazione e sviluppi nel campo dell’economia e della tecnica: il travaglio economico-sociale e le lotte di classi; imperialismi e colonizzazioni; i rapporti internazionali e l’equilibrio europeo.

Le guerre mondiali. La R, la lotta di liberazione, la Costituzione della Repubblica italiana; ideali e realizzazioni della democrazia.

Tramonto del colonialismo e nuovi  Stati nel mondo. Istituti e organizzazioni per la cooperazione fra i popoli. Comunità  europea.

Programmi Scuola media varati nel  1979

Classe 3ª: dal 1815 ai giorni nostri con riferimenti essenziali all’Europa, al mondo, alla decolonizzazione. Si avrà particolare riguardo all’Italia nell’ultimo cinquantennio, nel quadro della storia mondiale.

 

[2] Cfr. Libri di testo e R. Atti del convegno nazionale tenuto a Ferrara il 14-15 novembre 1970.  ( a cura di Lamberto Borghi,Guido Quazza, Antonio Santoni Rugiu,

Claudio Dellavalle) Editori Riuniti, Roma, 1971, p. 61.

[3] Cfr. op. cit. p. 76.

[4] Cfr. op. cit. p. 94.

[5] Cfr., op. cit. p. 113.

[6] D.M. 681/96.

[7] Per un’ analisi dettagliata su questa esperienza si veda Insegnare Auschwitz a cura di  Enzo Traverso, IRRSAE  Piemonte-Bollati  Boringhieri,  Torino  1995  e  in  particolare  il saggio di Federico Cereja e Brunello  Mantelli,  Le ricerche  sulla  deportazione  e  sulla  R promosse dal Consiglio Regionale e dalle province  piemontesi nell’ambito del concorso regionale “Visite di studio ai campi di sterminio”, pp. 139-141.

[8] Si  tratta  infatti  del  primo  volume  in  cui  si  tratta  specificatamente  il  problema  di come  e  perché  insegnare  la  shoah.  Non  mancano  neppure  pagine  estremamente interessanti  sulla  didattica  dei  luoghi  della  memoria,  oggi  una  delle  tematiche  più dibattute come dimostra anche questo seminario cremasco.

[9]Cfr.  I  licei G.Berchet  e  G.  Carducci  durante  il  fascismo  e  la  R a  cura  di  Davide Bonetti, Riccardo Bottoni, Grazia Giargia De Maio, Mariagrazia Zanaboni, Milano 1996, in

particolare L’espulsione degli studenti ebrei dal liceo “Carducci”, pp. 121-135.

[10] Cfr.  Educare  dopo Auschwitz a  cura  di  Giuseppe  Vico  e  Milena  Santerini,  Vita  e Pensiero Milano 1995 e  Memoria della shoah e coscienza della scuola a cura di Milena Santerini, Rita Sidoli, Giuseppe Vico, Vita e Pensiero, Milano 1999.

[11] Cfr.  Milena  Santerini, Antisemitismo  senza  memoria.  Insegnare  la  shoah  nella società multiculturale, Carocci, Roma 2005.

[12] Cfr. La persecuzione degli ebrei durante il fascismo. Le leggi del 1938, Camera dei Deputati, Roma 1998.

[13] Per consultare il programma e scaricare le relazioni tenute rispettivamente da Enzo Collotti,  Tristano  Matta e Laurana  Lajolo cfr. il  sito dedicato alla  didattica  dell’INSMLI: www.novecento.org.

[14] Il documento, tradotto in italiano con il titolo, Come insegnare l’Olocausto a scuola è stato pubblicato dall’editore Proedi nel gennaio 2005. I materiali sono comunque scaricabili dal sito www.istruzione.it/shoah-itfitalia/index.shtml.

[15] Sia lecito rimandare a Le storie estreme del Novecento. Il problema dei genocidi e il tota.litarismo a cura di Alessandra Chiappano e Fabio Minazzi, MIUR- Liceo Scientifico G Ferraris,  Varese 2002            

[16] Sia lecito rinviare a Il presente ha un cuore antico. Atti del seminario residenziale sulla shoah  a cura di Alessandra Chiappano e Fabio Minazzi, Thélema, Milano 2003, II ed. 2005 e Pagine di storia della shoah, Kaos edizioni, Milano 2005.

[17] Francesco Maria Feltri, I giorni e le idee, SEI, Torino 2002.

[18] Cfr. Shoah documenti testimonianze interpretazioni a cura di Alessandra Chiappano e Fabio Pace, Einaudi Scuola, Milano 2002; Ernesto Perillo, Shoah e  nazismo, Polaris, Faenza 2004; Comprendere Auschwitz a cura di Gabriella Leone e Eugenio Vattaneo, Loescher, Torino 2003.

[19] Cfr.  Enzo  Traverso  “La singolarità  storica  di  Auschwitz:  problemi  e  derive  di  un dibattito  in  Aa.Vv.,  Nazismo,  fascismo,  comunismo, a  cura  di  Marcello  Flores,  Bruno Mondadori, Milano1998.

[20] Maichele  Sarfatti,  Gli  ebrei  nell’Italia  fascista .  Vicende,  identità,  persecuzione, Einaudi, Torino 2000.

[21] Insegnare Auschwitz, a cura di Enzo Traverso, Bollati Boringhieri, Torino 1995.

[22] Un  percorso della  memoria ,  a cura  di Tristano  Matta, Electa,  Milano  1996,  p. 150.

[23] Cfr. Annette Wieviorka, Auschwitz, 60 ans après , Robert Laffont, Paris 2005.

Didattica della Shoah

A cura di Alessandra Chiappano

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