Alessandra Chiappano Istituto Nazionale della Resistenza Milano

La didattica della Shoah"

  La didattica della shoah in Italia

 

L’insegnamento della storia contemporanea nella scuola italiana

Dagli anni sessanta al decreto Berlinguer

 

Se si ripercorrono brevemente le tappe più significative della storia della scuola italiana ci si renderà conto facilmente che l’impianto sul quale, soprattutto la scuola superiore, si regge è quello che risale alla riforma Gentile. Né la transizione verso la democrazia né le ribellioni studentesche, che scoppiarono in Italia, come in tutto il mondo, chiedendo una scuola diversa, cambiarono di molto la situazione, anche se certe innovazioni, soprattutto attraverso l’emanazione di nuovi programmi scolastici cominciarono a profilarsi fin dagli anni sessanta.

Se ci si concentra ora sull’insegnamento della storia e, in particolare, sulla didattica della storia è agevole constatare che mentre altre discipline avevano nel corso degli anni goduto del favore e dell’attenzione del Ministero, per cui si era avviata una profonda rivisitazione della disciplina in chiave didattica − si pensi, per esempio, all'insegnamento della letteratura italiana, che dagli anni settanta in poi è stato affrontato sempre più attraverso un’ottica testuale, privilegiando la lettura e l’analisi dei testi allo studio della semplice storia della letteratura,− la storia, anche per il fatto che viene insegnata dal docente di italiano o da quello di filosofia, è rimasta trascurata e la didattica della storia immutata, o quasi, nel tempo.

Infatti si potrà agevolmente rilevare che, pur essendo presente nei programmi fin dagli anni sessanta il richiamo alla trattazione della storia contemporanea, temi quali l’antifascismo, la Resistenza e la costituzione sono rimasti pressoché ignorati: a stento si arrivava a lumeggiare le vicende legate alla prima guerra mondiale. Anche per quanto riguarda la scuola media il richiamo alla trattazione della guerra di liberazione e della Resistenza era stato reso esplicito nei programmi più o meno nello stesso periodo. Tuttavia molti docenti ritenevano che trattare questi temi significasse "fare politica" e per questo generalmente dedicavano a questi argomenti uno spazio del tutto marginale.

Il tema dell’insegnamento della Resistenza e dell’antifascismo venne trattato in un convegno nazionale tenutosi a Ferrara il 14 e il 15 novembre 1970. Il convegno a cui parteciparono fra gli altri Guido Quazza, Claudio Dellavalle, Lamberto Borghi si poneva il problema di come insegnare la Resistenza ai giovani e di analizzare come questo tema era affrontato nei libri di testo. Tutti gli interventi posero in rilievo la necessità di evitare un insegnamento agiografico e celebrativo, per riproporre invece uno studio critico, capace di risvegliare curiosità e soprattutto di attivare nei giovani una mentalità critica e aperta.

Claudio Dellavalle, nel suo ampio saggio sui libri di testo, dopo aver preso in esame i manuali più diffusi nelle scuole medie di Torino, ravvisava una serie di manchevolezze: innanzi tutto quasi tutti i testi presi in esame avevano aggiunto la parte relativa all’ultimo periodo di storia in modo per lo più approssimativo e frettoloso, quasi che si trattasse di aggiungere una fredda elencazione di dati e nomi, inoltre a suo parere quasi tutti i testi presentavano:

 

«il processo storico come successione di accadimenti, di fatti importanti, di guerre e di paci, di trattati, di istituzioni, di personaggi. E’ una concezione di storia che sul piano scientifico ha avuto una sua scuola nel passato, ma che dal punto di vista dell’apprendimento richiede soprattutto sforzo mnemonico»

 

 

Esaminando in esame i testi e analizzando la descrizione che offrivano di certi accadimenti si poteva notare, ad esempio, che della monarchia e del suo comportamento dopo l’annuncio dell’armistizio veniva dato un giudizio educolcorato, che mirava a tacere le responsabilità di casa Savoia.

Anche la trattazione vera e propria della Resistenza lasciava perplessi: la costituzione delle bande di civili era spesso sottaciuta, mancava qualsiasi riferimento alla composizione sociale delle formazioni partigiane, nessun testo ricordava gli scioperi del 43 e quelli ancor più imponenti del 44. Confusi apparivano anche i riferimenti al CLN e alla sua composizione, né si menzionava l’esperienza delle repubbliche partigiane.

In conclusione secondo Dellavalle:

 

 

«[…] Come la maggior parte dei manuali presi in considerazione dimostra ampiamente, i canali tra storia e formazione civile sono chiusi. Noia e fastidio per una lezione non facile sono forse le uniche impressioni che un ragazzo può derivare dalla storia della Resistenza quale gli viene presentata dal libro. Se gli verranno altri stimoli o curiosità da soddisfare, è probabile che provengano dall’esterno, dalla famiglia, dai giornali o dalla televisione, certamente non dalle interpretazioni riduttive dei manuali. […] il richiamo più o meno esplicito alla Resistenza, c’è in tutti, poiché, bene o male, l’ordinamento costituzionale ne è l’eredità, ma si ferma qui. Si tratta di mera forma».

 

 

I giovani che alla fine degli anni sessanta iniziarono a ribellarsi anche contro la scuola autoritaria e repressiva reagirono con stupore di fronte alla chiusura di certi docenti, che pure avevano partecipato alla vicenda resistenziale.

Come osservò Guido Quazza:

 

«Gli studenti hanno visto che molti docenti ex combattenti della Resistenza, di fronte alla richiesta di una discussione politica immediata, reagiscono negativamente, esattamente come quelli che la Resistenza non l’avevano fatta».

 

 

Da qui secondo Quazza la necessità di riprendere il dialogo con le giovani generazioni anche sul tema della Resistenza, cercando di riannodare i fili di una memoria storica sfilacciata, anche a causa di uno studio scolastico lacunoso ed impreciso. Per gli studenti degli anni settanta era vitale l’intreccio Resistenza-presente, come viene sottolineato dallo studente Rimondi che intervenne al convegno proprio su questo tema.

Se la situazione nelle scuole presentava ancora uno studio della storia mnemonico tradizionale e noioso, i giovani insegnanti che avevano in qualche modo partecipato alle lotte studentesche e si erano forgiati una coscienza civile nuova e che, sulla scorta dell’esperienza milaniana, lottavano per una scuola nuova iniziarono a proporre ai loro studenti esperienze diverse, che avevano nell’intreccio tra il passato e il presente nonché nello studio della storia contemporanea il punto di forza.

Tuttavia queste esperienze, fiorite soprattutto negli anni settanta, rimasero marginali, come risulta da una indagine sui bisogni formativi degli insegnanti di storia, compiuta dal Provveditorato agli Studi di Milano nel 1997: dai dati emerge che la maggioranza degli insegnanti usava come metodologia privilegiata la lezione frontale e come unico strumento il libro di testo, soprattutto nella scuola superiore,inoltre i temi della storia contemporanea erano trattati in modo assai limitato e raramente la shoah rientrava negli argomenti affrontati in classe.

E' pur vero che il Ministero della Pubblica istruzione, fin dal 1993, aveva attivato una serie di corsi residenziali svoltisi a Latina, presso il Liceo Scientifico «Majorana», scuola−polo a livello nazionale per la didattica della storia, ed è vero, per esperienza diretta della scrivente, che si è trattato di esperienze feconde, in cui, partendo dall'analisi dei programmi Brocca, (che contenevano una serie di indicazioni preziose, che andavano proprio nella direzione di un significativo cambiamento nell'insegnamento della storia), si è cercato di costruire una serie di percorsi possibili e di offrire ai colleghi una serie di spunti su cui riflettere per attivare un cambiamento significativo e capace di incidere nella didattica della storia. Già allora, mi riferisco agli anni 1995-97, si parlava di approccio critico ai documenti e di laboratorio di storia. Ma è pur vero che queste esperienze non si sono effettivamente radicate e disseminate nel territorio, a parte pochissimi isolati casi.

Nonostante gli stimoli, lo studio della Shoah era raramente affrontato e se lo era, ciò avveniva, quasi sempre, in connessione con lo studio della seconda guerra mondiale. Del resto i libri di testo non aiutavano in questo senso: al tema della persecuzione ebraica venivano dedicate poche parole, nei casi migliori si trovava anche qualche lettura.

In questo contesto, nonostante ci sia attenzione verso la storia del Novecento nel suo complesso da parte di molti docenti e nei confronti del tema specifico della shoah in particolare è solo con il decreto Berlinguer che la situazione cambia radicalmente.

Il decreto Berlinguer, da questo punto di vista, è stato il punto di partenza. Infatti la decisione del ex ministro di dedicare allo studio del Novecento l’ultimo anno di ogni segmento di scuola creò le premesse non solo per affrontare la storia del Novecento in classe, ma anche per promuovere una riflessione ben più ampia sulla didattica della storia. Infatti l’entrata in vigore del decreto Berlinguer, che è stato accompagnato da feroci critiche soprattutto da parte di chi pensava che la storia del Novecento non fosse insegnabile, perché troppo vicina a noi, oppure da parte di chi temeva un uso strumentale e politico della storia contemporanea, ha, di fatto cambiato l’insegnamento della storia e soprattutto ha messo in moto una serie di riflessioni da parte di storici, docenti, associazioni professionali e in questo quadro gli Istituti storici della Resistenza hanno avuto un ruolo significativo nel promuovere tali cambiamenti. Tali riflessioni non erano del resto più eludibili e si sono focalizzate su alcuni temi centrali:l’insegnamento della storia nel suo complesso, la trasmissione e la costruzione della memoria storica. La ricerca dei nodi salienti e dei percorsi più significativi all’interno della storia del Novecento, che per la sua grande ricchezza e per la sua straordinaria complessità si offre ad una pluralità di letture e di possibili tematizzazioni, è stata oggetto di un ampio variegato dibattito che ha coinvolto insegnanti, riviste specializzate, associazioni professionali e disciplinari.

 

 

 

Le sperimentazioni negli anni settanta-ottanta sul tema della deportazione e della Shoah.

 

. Anche sulla scorta delle spinte innovative che introdussero nella scuola i giovani che avevano partecipato attivamente alle rivolte studentesche e che avevano promosso in Italia come in Germania un serrato confronto con la generazione dei padri sul "passato che non passa" nel corso degli anni settanta, soprattutto nelle scuole medie gli insegnanti iniziarono a parlare agli studenti di temi quali la deportazione e lo sterminio degli ebrei. Si trattava di trattazioni spesso assai superficiali e che furono indotte soprattutto dalla lettura di alcuni testi canonici come il Diario di Anna Frank, Se questo è un uomo di Primo Levi e La tregua. A questo proposito vale la pena di ricordare la creazione di una collana di volumetti editi da Einaudi chiamata Letture per la scuola media: in tale collana furono pubblicati in edizione commentata molti volumi di scrittori del Novecento, tra cui quelli sopraccitati. Questa collana ebbe una grandissima diffusione e contribuì a far entrare nella scuola certi temi. Si tenga conto poi che nel 1975 si celebrò il trentennale della Resistenza e anche tale celebrazione spinse molti insegnanti a trattare in classe certi aspetti della storia del Novecento.

A fronte di questo nelle scuole superiori la situazione restò invece pressoché immutata e raramente i docenti tratteggiavano al storia del fascismo o della seconda guerra mondiale.

Come spesso accade in una società fortemente condizionata dalle produzioni mediatiche un momento di svolta che impresse un acceleramento rispetto all’interesse e allo studio della shoah fu rappresentato dallo sceneggiato televisivo Olocausto: di produzione americana su sceneggiatura di Gerald Green racconta la storia di due famiglie tedesche una ebraica che subisce la persecuzione mentre l’altra si nazifica. Lo sceneggiato propone tutte le tappe dello sterminio ebraico in Europa: da Baby Yar alla rivolta nel ghetto di Varsavia, fino alla liberazione di Auschwitz. Il cast di attori era ottimo, vale la pena di ricordare Meryl Streep. La critica fu complessivamente positiva anche se non mancarono le note critiche come quelle pronunciate da Elie Wiesel; lo sceneggiato fu visto in America e in Europa da più di 220 milioni di spettatori e soprattutto nella Germania Federale suscitò un ampio dibattito che diede nuovo impulso alla ricerca storica.

In questo quadro vanno però ricordato almeno le esperienze che sono state fatte a partire dagli anni ottanta e per tutto il decennio successivo grazie al coinvolgimento della Regione Piemonte in collaborazione con l’ANED e il Comitato della Regione Piemonte per l’affermazione dei valori della Resistenza e dei principi della Costituzione Repubblicana. Tali enti hanno promosso visite di studio nei campi di nazisti. L’iniziativa era diretta agli studenti delle scuole superiori: a studenti e insegnanti vengono proposte tracce su cui produrre elaborati o ricerche, i testi migliori vengono premiati con il viaggio di studio, in genere la meta è Mauthausen.. Si è trattato di un’iniziativa che è stata estremamente lodevole e che ha visto il coinvolgimento di migliaia di studenti e di moltissimi docenti. Se si scorrono i dati quantitativi raccolti nel volume curato da Enzo Traverso, Insegnare Auschwitz, che costituisce una pietra miliare nel quadro della didattica della shoah, si nota che il numero maggiore di studenti coinvolto viene dalle province e l’indirizzo di scuola più largamente presente è rappresentato dai licei, soprattutto scientifici, subito seguiti dagli istituti magistrali. Gli insegnanti coinvolti sono stati più di ottanta e i temi proposti si sono concentrati soprattutto sulle tematiche della deportazione in senso lato (quella politica e razziale , non mancano riferimenti anche all’internamento militare) e a seguire della Resistenza. Nei primi anni la traccia era unica poi si passa a due e infine nel 1985 a quattro.

 

Dal decreto Berlinguer ad oggi

 

A partire dal decreto 681, noto come decreto Berlinguer, si assiste ad una vera e propria esplosione. Cresce l’intereresse per la shoah, si moltiplicano le iniziative. E’ in questo contesto che anche le singole istituzioni scolastiche cominciano a promuovere ricerche e studi sul tema delle leggi razziali, della espulsione di insegnanti e studenti ebrei dalle scuole. Tali ricerche in molti casi prendono l’avvio dall’analisi dei documenti d’archivio conservati nelle scuole. Si apre così una stagione feconda di ricerche che hanno come punto di partenza gli archivi delle scuole stesse, autentiche miniere inesplorate, anche se spesso i documenti si trovano con difficoltà ed occorre procedere a un paziente lavoro di risistemazione e riordino del materiale. Su questi temi occorre ricordare la pubblicazione che si riferisce nello specifico alle vicende legate ai licei milanesi Berchet e Carducci, in cui sono raccolti gli esiti di alcune giornate di studio svoltesi nel 1995 Nell’ambito delle iniziative che si andarono sviluppando in quegli anni così ricchi di molteplici esperienze, occorre ricordare il convegno promosso dall’Università Cattolica di Milano Educare dopo Auschwitz,i cui esiti sono confluiti in una pubblicazione curata da Giuseppe Vico e Milena Santerini, che da tempo si occupa di didattica della shoah e che più recentemente ha contribuito alla riflessione sulla necessità di calibrare l’insegnamento della shoah in un contesto multiculturale, quale è quello di oggi.

Nel 1998 si è celebrato l’anniversario dell’emanazione delle leggi razziali, tale evento è stato particolarmente sentito . L’allora presidente della Camera, onorevole Luciano Violante, promosse una bellissima pubblicazione in cui si riproponeva una copia fedele all’originale delle leggi razziali corredata dall’iter parlamentare e preceduta da una serie di saggi di uomini politici (Luciano Violante, Oscar Luigi Scàlfaro, Bill Clinton, Vaclav Havel) e di importanti studiosi, come Michele Sarfatti, Gadi Luzzato Voghera, Corrado Vivanti. Lo stesso Presidente Violante, in collaborazione con l’Istituto Nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia e il Ministero della Pubblica Istruzione, nell’ambito del protocollo di intesa tra INSMLI e Ministero, promosse una giornata di studio svoltasi a Roma il 3 dicembre 1998 presso la Camera dei Deputati, Palazzo S. Macuto, Sala del Refettorio dal titolo L’invenzione del nemico. Sessantesimo anniversario delle leggi razziali.

Le ricerche sugli archivi scolastici hanno avuto un enorme successo e si sono diffuse capillarmente in Piemonte, nel Veneto e in altre regioni, tra l’altro contribuendo a sollevare un ampio dibattito anche in campo storiografico.

 

Il progetto ministeriale I giovani il Novecento e la memoria

 

A partire dal 1998 e per i tre successivi anni scolastici il ministero della Pubblica Istruzione ha lanciato su scala nazionale il progetto I giovani, Il Novecento e la memoria. Esso ha coinvolto migliaia di studenti e ha spinto insegnanti e studenti ad interrogarsi su certi temi specifici della storia del Novecento, quali la deportazione politica e razziale, le discriminazioni e i campi di sterminio. Come si ricorderà, ogni scuola, per ottenere un finanziamento, doveva presentare alle Commissioni Provinciali per la Storia, istituite in ogni provveditorato per facilitare la riflessione sulla didattica della storia del Novecento, lo schema del progetto elaborato che, attraverso un adeguato approfondimento dei contenuti storici, poteva concludersi con la visita ad un luogo della memoria, ovviamente connesso al percorso prescelto. Non si è trattato, quindi, di visite ai campi di concentramento svincolate da un aggancio didattico, come se si volesse fare del turismo macabro, ma di veri e propri percorsi studiati ad hoc che prevedevano come esito finale e di verifica del progetto stesso, la visita ad un lager.

In tutto il territorio nazionale, dunque, insegnanti e studenti hanno iniziato un lavoro di notevolissime dimensioni, spesso raccogliendo gli esiti del proprio progetto in dattiloscritti, testi a stampa o in prodotti multimediali. In questo i docenti sono stati supportati dalle svariate agenzie educative presenti nel territorio, cometa Fondazione CDEC, l’ANED, l’ INSMLI. Quasi sempre i percorsi elaborati avevano nell'incontro con i testimoni uno dei momenti salienti.

Le mete verso le quali studenti e docenti si sono diretti sono state varie, più spesso sono stati privilegiati i campi di concentramento presenti in Germania, per motivi logistici.

 

 

La creazione della Task Force for International Cooperation on Holocaust Education, Remembrance and Research e l’avvio di una didattica della shoah in Italia

 

E’ questo contesto di attenzione, anche a livello internazionale sulla shoah e il suo insegnamento nasce la Task Force for International Cooperation on Holocaust Education, Remembrance and Research: un organismo internazionale costituito nel 1998 su impulso del primo ministro svedese. Ne fanno parte venti paesi. I compiti che la Task Force si prefigge sono di rafforzare l'educazione all'Olocausto e alla memoria, non solo nei paesi promotori, ma soprattutto nei paesi dell'est che si trovano ora, dopo la caduta del muro di Berlino, impegnati in un difficile processo di ricostruzione della loro storia passata. In quest'ottica all'interno della Task Force si è dato avvio a progetti che hanno come obiettivo principale la formazione degli insegnanti sul tema della Shoah, la traduzione di testi scolastici ad hoc, il recupero e la conservazione dei luoghi della memoria. La Task Force si riunisce in media due volte l'anno in seduta plenaria: la presidenza è gestita da uno dei paesi membri per un periodo di un anno. Nel 2004-2005 la presidenza è stata italiana e nel 2005-2006 passerà alla Polonia.

La Task Force si è imposta all’ attenzione internazionale durante il Forum sull' Olocausto che si è svolto a Stoccolma, dal 26 al 28 gennaio 2000. Ad esso hanno partecipato sette capi di governo e quarantasette delegazioni da tutto il mondo, di cui facevano parte studiosi e testimoni.

I rappresentanti dei governi hanno sottoscritto la Dichiarazione di Stoccolma, con la quale i singoli paesi si sono impegnati a:

 

promuovere e implementare l’educazione all’Olocausto;

istituire in ogni paese un giorno della memoria;

preservare e mantenere la memoria della Shoah;

promuovere l’apertura di tutti gli archivi.

 

Tenendo fede agli impegni assunti in seno alla Task Force in Italia è stato istituito, con una legge del 2000, il giorno della memoria e la data prescelta, come del resto in molti paesi d’Europa, è stata quella del 27 di gennaio.

Tra gli organismi della Task Force merita particolare attenzione l’Education Working Group che è composto da pedagogisti ed educatori esperti nel campo della didattica della shoah. Il compito precipuo di tale gruppo è quello di promuovere l’insegnamento, il ricordo e la ricerca sulla shoah. In particolare questo gruppo di lavoro ha elaborato un importante documento le Linee guida per l’insegnamento della shoah nelle scuole. In questo breve volume di sintesi il gruppo ha cercato di rispondere soprattutto a tre quesiti fondamentali: perché insegnare l’Olocausto; cosa insegnare sull’Olocausto; come insegnare l’Olocausto.

A latere di questo impegno italiano grazie ad accordi bilaterali tra il governo israeliano e quello italiano nel settembre 2000 20 insegnanti italiani furono selezionati per frequentare un corso intensivo di 120 ore sulla shoah presso l’Istituto storico Yad Vashem di Gerusalemme. Chi scrive ha avuto la fortuna di essere uno fra i venti prescelti. Si è trattato di un’esperienza ricchissima sia sul piano professionale che umano. Il corso è stato di altissimo livello ed ha permesso a molti che già avevano una certa dimestichezza con la materia di affinare le proprie conoscenze e nello stesso tempo di confrontare sistemi educativi diversi come quello israeliano e italiano. Purtroppo il mutare dello scenario internazionale non ha più reso possibile il ripetersi di una esperienza così notevole; oggi forse il contesto più favorevole potrebbe aprire spiragli in tal senso.

Nel maggio 2001 anche per diffondere gli esiti del seminario seguito a Yad Vashem si è tenuto il primo seminario nazionale sulla shoah a Varese, i cui atti, sono disponibili presso il liceo Galileo Ferraris di Varese. Si è trattato di un momento importante perché oltre a storici importanti come Collotti, Sarfatti, Picciotto, Pezzetti si sono confrontati con la tematica della shoah più di sessanta docenti provenienti da tutta Italia.

Accanto alle istituzioni si sono mosse su questi stessi temi, soprattutto a partire dall’emanazione della Giornata della Memoria le associazioni e quindi si è assistito ad un fiorire di attività.

Ad esempio l’importante convegno svoltosi a Mirano (Venezia), i cui atti Pensare e insegnare Auschwitz sono stati recentemente pubblicati per i tipi di Franco Angeli Editore

. Infine i seminari organizzati in sede locale, spesso con il contributo degli istituti storici della Resistenza. In particolare mi sembra utile citare il seminario residenziale sulla didattica della shoah significativamente chiamato Futuro Antico, organizzato dall’istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea in Ravenna e provincia in collaborazione con l’Istituto nazionale perl a storia del movimento di liberazione in Italia, giunto nel gennaio 2005 alla sua quarta edizione. Anche di questa iniziativa sono sempre stati puntualmente pubblicati gli atti che possono contribuire a sensibilizzare i docenti sulle tematiche relative alla didattica della shoah.

Per quanto riguarda i libri di testo, a parte alcune eccezioni, ad esempio il manuale curato tra gli altri da Marco Fossati La città dell’uomo, e I fili della memoria curato da Anna Bravo, Anna Foa,Lucia Scaraffia e il testo di Francesco Maria Feltri, sono i soli che presentino, seppure in modo succinto, qualche informazione specifica sulla shoah. In generale invece gli altri testi vi dedicano solo qualche paragrafo all’interno di capitoli dedicati alla trattazione della seconda guerra mondiale. Inoltre spesso i manuali sono pieni di imprecisioni, di confusioni, di dati fuorvianti.

Occorre ricordare però che sono state pubblicati alcuni volumi monografici espressamente dedicati alla shoah e rivolti al mondo della scuola. Si tratta generalmente di volumetti di agile consultazione che consentono agli studenti e agli insegnanti di acquisire alcune nozioni fondamentali su una materia di enorme complessità e su cui la storiografia e la ricerca continuano a produrre studi innovativi.

Nel corso degli anni novanta anche l’attenzione che al tema della shoah hanno attribuito i media ha finito per essere motivo di riflessioni e dibattiti, anche accesi.

Penso allo straordinario successo di un film come "Schindler’s list" diretto dal regista americano Steven Spielberg, a quello tanto dibattuto diretto da Roberto Benigni "La vita è bella".Come è facile intuire questa attenzione ha avuto notevoli ripercussioni anche nel mondo della scuola

 

La shoah è un nodo della storia del Novecento?

 

Occorre riflettere su un punto centrale la shoah è un nodo irrinunciabile della storia del Novecento? E se sì quale è l’approccio più corretto?

La storia del XX secolo appare fortemente segnata dalla presenza di due forme di totalitarismo, ma nonostante si possano ravvisare anche somiglianze e complicità fra i due totalitarismi del Novecento, quello nazista, inventore di Auschwitz, si impone come un unicum nella storia europea.

Quest'ultimo si è apprestato infatti a cancellare dalla faccia della terra, gli oppositori politici, i comunisti, gli zingari, gli asociali, i malati di mente, e gli ebrei colpevoli solo di questo, di esistere in quanto tali. Per questa ragione il progetto nazista appare in tutta la sua mostruosità, e segna la recente storia europea, quasi come una cesura fra un prima e un dopo. Eppure non bisogna neppure lasciarsi attrarre da un approccio di segno totalmente diverso, e a mio giudizio assai pericoloso, ossia lasciarsi attrarre dalla impossibilità di spiegare Auschwitz, giacché ogni spiegazione comporterebbe una relativizzazione. Non solo Auschwitz va spiegato, ma va fatto proprio dalla storia e dall'insegnamento della storia, se davvero condividiamo l'idea che la storia sia una disciplina formativa, in grado di fornire agli studenti una visione critica, uno dei valori che la nostra scuola ha il dovere di trasmettere.

La shoah è un paradigma dell’annientamento dell’altro, del diverso.

Come oramai è riconosciuto dagli storici, anche l’Italia fascista ha contribuito in modo non irrilevante alla riuscita del progetto nazista riguardante la distruzione degli ebrei, prima con l’adozione delle leggi razziali nel 1938 e poi con la caccia all’ebreo durante gli anni dell’occupazione tedesca: gli arresti avvenivano spesso grazie alla polizia italiana.

E’ quindi giusto che nelle scuole si analizzi il percorso storico che portato all’eliminazione di più di settemila cittadini italiani, di religione ebraica, è giusto che gli studenti sappiano quale era esattamente il progetto che il nazifascismo aveva in mente, quale era la loro idea di Europa.

Insegnare Auschwitz, quindi per parafrasare il fortunato libro a cura di Enzo Traverso, significa rendere i giovani consapevoli di quello che di mostruoso ha saputo creare l'homo faber guidato da un potere per certi aspetti diabolico, ma non solo perché conoscano quello che è avvenuto nei campi della morte, ma perché sappiano che certe situazioni possono ripetersi, certo non identiche a se stesse, ma con esiti altrettanto devastanti.

Insegnare Auschwitz, significa dunque far riflettere i giovani sul tema delle minoranze, sulla pericolosità di certe estremizzazioni, significa mettere i giovani a contatto con i testimoni e, quindi, avviare quel processo di trasmissione della memoria storica, che come si è detto, è venuto a mancare, ed è anche un modo per costruire un percorso nell'ambito della storia del Novecento che abbia come perno un insegnamento etico e civile.

Per quanto riguarda l’approccio didattico uno dei primi problemi che si pongono è quello della comparazione storica: è lecito confrontare la shoah con altri eventi tragici della storia, dai bombardamenti atomici in Giappone, alla devastazione di Dresda, al sistema concentrazionario sovietico. La comparazione in realtà non solo è un procedimento storiograficamente corretto, ma risulta efficace sul piano didattico, specie quando risponde a specifiche sollecitazioni da parte degli studenti.Si rischia altrimenti di collocare la shoah su un piano metastorico, che ne pregiudica la comprensione all’interno del processo storico comprensivo. E’ tuttavia indispensabile inquadrare con assoluto rigore ogni evento all’interno di specifiche coordinate storiche, evitando con cura ogni forma di assimilazione sommaria, che si presta ad inevitabili e fuorvianti semplificazioni.

Per quanto riguarda la trasmissibilità di tale evento è preferibile anche per i motivi già accennati in precedenza optare per una trattazione di lungo periodo, all’interno della quale si possa esaminare la storia ebraica nel suo divenire, piuttosto che ricorrere ad una spiegazione legata all’evento specifico dello sterminio nel contesto della trattazione della seconda guerra mondiale o del nazismo. L’ipotesi dunque di una trattazione che si svolga in un arco di tempo più disteso e che veda il coinvolgimento anche di altre discipline, oltre alla storia, appare di gran lunga preferibile, anche se non priva di difficoltà.

La ricorrenza del Giorno della Memoria, con il richiamo esplicito ad organizzare momenti di riflessione e di studio all’interno delle scuole espone gli studenti italiani, come del resto quelli di molti altri paesi europei, al rischio di una "sovraesposizione" a questa tematica, che spesso si traduce in reazioni di allontanamento e disinteresse e saturazione.

Gli insegnanti sollecitati quindi dalla Giornata della memoria nutrono un notevole interesse per la shoah, ma spesso si trovano disarmati e quindi si rivolgono ad esperti oppure ai testimoni. Le richieste alle associazioni che si occupano di didattica della shoah nei mesi di gennaio e febbraio sono numerosissime. Personalmente ritengo che questo approccio relegato in un momento particolare dell’anno sia del tutto controproducente e rischia di generare negli studenti fastidio e disattenzione. Inoltre la ritualizzazione e la commemorazione non sono esenti dai pericoli di una eccessiva banalizzazione, esattamente come è accaduto per altre date simboliche, come ad esempio il 25 aprile, che oggi per la maggior parte degli studenti non significa nulla.

Inoltre il concentrare tutta l’attenzione sulla shoah, ossia su una vicenda tragica e luttuosa fa sì che gli studenti identifichino gli ebrei e la loro storia complessiva come una storia fatta solo di dolore e di lutto, in questo modo inoltre si finisce di ignorare la millenaria presenza ebraica nella storia dell’umanità: come se degli ebrei e della loro cultura fosse lecito parlare nel momento della loro distruzione.

A mio avviso è fondamentale evitare dunque che l’insegnamento della shoah si riduca ad una serie di interventi tutti concentrati attorno al giorno della memoria (come si trattasse di un obbligo legato alla legge), oppure nell’ambito del programma dell’ultimo anno di corso, senza che si costruisca un percorso armonico che, partendo almeno dalla terza classe, dia ragione di chi erano gli ebrei e come vivevano in quanto minoranza in una Europa cristiana ed intollerante. Solo così, ripercorrendo a grandi linee la storia degli ebrei, dalla diaspora fino alla emancipazione, si potrà poi ragionare sulla shoah, altrimenti si rischia che l’insegnamento di questo evento risulti completamente de-contestualizzato, sacralizzato e su questa china è facile immaginare che non si otterrà un apprendimento destinato a durare, ma piuttosto si alimenteranno quegli stereotipi che sono ancora oggi molto diffusi.

Infatti anche per quel che concerne l’insegnamento della shoah, se non si troveranno efficaci strategie per trasmettere la memoria di questo vento tragico e luttuoso, ragionando sulla lacerazione che il mondo occidentale si è inferto eliminando una parte della sua popolazione, accadrà inevitabilmente che si giunga alla saturazione, che comporterà una inesorabile perdita di quella memoria storica che si vorrebbe invece consegnare alle nuove generazioni.

Su questi interrogativi e sulla necessità di individuare linee guida per inserire nel curriculum un approccio alla shoah che tenga conto del contesto multiculturale in cui operiamo si è svolto sotto l’egida della presidenza italiana della Task Force, in collaborazione con il MIUR un seminario a Montecatini dal 28 febbraio al 2 marzo 2005. In questo contesto, grazia anche ai contributi degli esperti dell’Education Working Group della Task Force si è ragionato sui metodi più corretti per proporre una storia della shoah che tenga conto di una pluralità di letture e di interpretazioni.

 

 

 

 

 

 

Educare ai luoghi della memoria e qualche conclusione

 

A parere di chi scrive la didattica della shoah dovrebbe ruotare intorno a due cardini imprescindibili, se si desidera davvero produrre negli studenti un apprendimento duraturo e profondo: emozione e conoscenza.

L’emozione può essere provocata dall’incontro con il testimone, che va però preparato, perché gli studenti devono sapere che chi parla racconta la sua esperienza che non può in nessun modo tradursi in una lezione generale sulla deportazione e lo sterminio. Il testimone è essenziale perché ci costringe a rapportarci con una storia ed un’esperienza terribili, ma non è la storia! Il ragionamento è analogo per i luoghi della memoria: essi sono un formidabile elemento per raccontare, per comprendere quanto è accaduto, ma è necessario che le visite siano preparate con grande attenzione e puntualità, altrimenti nessuna di queste esperienze, l’ascolto del testimone così come la visita ad un campo potrà trasformarsi in apprendimento, perché verrà a mancare l’altro anello quello della conoscenza che il solo vero elemento che ci permette di tentare di capire quanto è accaduto.

Educare ad un luogo di memoria significa, soprattutto, insegnare a leggere quel luogo e a leggervi anche le sovrapposizioni che la storia, con il suo passare, imprime.

Significa capire i meccanismi che regolano l'uso pubblico che si fa della memoria di un luogo. Significa capire che per i testimoni, guide privilegiate perché in quei luoghi hanno vissuto, quegli stessi hanno un impatto ed una valenza emotiva profondissima.

Occorre che gli studenti sappiano che oggi Dachau, Buchenwald, Auschwitz non sono quello che erano ai tempi dei signori della guerra, che anche i monumenti ai morti, o i musei, hanno finito per snaturare il luogo rispetto a quello che era. Occorre che gli studenti sappiano che per entrare in sintonia con il luogo della memoria bisogna tenere presenti questi aspetti e cercare di ricostruire quel luogo nella propria mente, come era allora.

La chiave di lettura potrebbe essere sentire il luogo, immergersi in esso ed accoglierlo in sè e se questo può essere un percorso individuale (che insegnante e studente compiono per loro conto), occorrerà poi trasformarlo in una esperienza collettiva e condivisa, affinché assuma una rilevanza didattica e formativa. Educare ai luoghi di memoria significa, in ultima analisi, avere la consapevolezza,−contro ogni tentativo di cancellazione della memoria, come dei suoi luoghi−, dell'importanza che certe località hanno per tutti gli uomini che si riconoscano in certi valori fondamentali.

Sulla moltiplicazione dei viaggi della memoria, che si sono susseguiti anche se il progetto così innovativo voluto dall’Ispettrice Anna Sgherri, che aveva curato complessivamente il progetto globale sulla storia del Novecento non è stato più finanziato, ha scritto pagine estremamente incisive Annette Wieviorka in suo recentissimo libro Auschwitz, 60 ans après in cui si interroga sulla ricaduta didattica che i viaggi della memoria possano avere su studenti così lontani da quel passato.

Infatti se si pensa ad Auschwitz si deve sapere che allora era una immensa struttura concentrazionaria e ora il campo è del tutto diverso quello che era, perché Auschwitz 1 è un museo, e i blocchi in cui erano alloggiati i prigionieri oggi ospitano le sale di questo museo, mentre Birkenau, oggi appare ai nostri occhi come una landa desolata, un immenso spazio quasi vuoto e non è facile immaginarsi come poteva essere, con le sue trecento baracche e le strutture di messa a morte, ora distrutte.

E’ necessario che gli studenti comprendano in che misura l’intervento dell’uomo ha modificato il luogo, lo ha snaturato, lo ha fatto divenire altro.

Dunque senza una didattica capace di coniugare il cuore e la ragione si mancherà l’obiettivo fondamentale, la ragion d’essere del nostro essere educatori in questo nuovo millennio così ricco di sfide.