Inbal Ben Dov Kvity Storica dell'- Yad Vashem di Gerusalemme
Riassunto da "I sopravvisuti dell' Olocausto", (Return to Life. The Holocaust Survivors: from Liberation to Rehabilitation, , Beit Beth HatefutsothLohamei Haghetaot and Yad Vashem, 1995, pp.35-47).
La primavera non era mai stata tanto bella come nel 1945: dopo sei anni una delle piu' terribili guerre era finita; il regime Nazista era stato battuto e sconfitto. Le armate degli Alleati provenienti da Est ed Ovest si incontrarono fra le rovine di Berlino. In tutta l'Europa si celebrava la vittoria e la fine della guerra.
Un solo popolo non condivideva la generale euforia: gli Ebrei d'Europa. Essi erano parte della guerra contro Hitler, ma non erano parte della vittoria. Per loro la vittoria era giunta troppo tardi: la maggior parte degli Ebrei europei erano stati sterminati. La comunita' ebraica polacca, la piu' vasta in Europa, era stata quasi totalmente distrutta: dei 3,500,000 Ebrei che vivevano li' prima della Guerra, solo 250,000 ne era sopravvissuto, di cui la maggior parte si trovava in Unione Siovetica. Il 93% era perito. La situazione in Cecoslovacchia, in Jugoslavia e negli Stati dei Balcani era piu' o meno la stessa. L'ebraismo dell'Europa orientale, il centro dell'ebraismo europea dopo l'espulsione dalla Spagna, era stato liquidato nelle camere a gas. Gli ebrei dell'Europa dell'ovest e del sud avevano subito un colpo fatale, nonostante le proporzioni dello sterminio fossero minori. Non c'e' quindi da meravigliarsi del fatto che i sopravvissuti menzionarono minimamente il giorno della vittoria, coscienti della profondita' della tragedia, e consci dello sforzo di dover raccogliere i frammenti della loro esistenza per ricominciare a vivere.
Il tradizionale antisemitismo dei Polacchi e degli Ucraini, che aveva ricevuto la sua leggittimazione e incoraggiamento durante il periodo del regime Nazista, non fini' con la Guerra: gli Ebrei che ritornavano alle loro case in cerca di parenti o informazioni su i loro familiari, furono attaccati e perfino uccisi dai loro ex-vicini. Durante il primo anno dopo la Liberazione (novembre 1944- ottobre 1945) in Polonia vennero uccisi piu' di 500 ebrei, mentre il Governo non prendeva nessun provvedimento per prevenire il massacro. Nell'estate del 1946 nella citta' di Kielce ci fu un terribile pogrom. Esso avvenne durante il giorno, sotto lo sguardo della polizia locale ( ed alcuni sostengono con la sua partecipazione). Gli Ebrei scampati all' occupazione nazista trovarono ora la loro morte nella citta' di Kielce. Piu' di 70 persone furono uccise ed il Governo era troppo debole per prevenire la catastrofe. Dopo Kielce, non c'era piu' nessuna speranza per gli Ebrei polacchi, e l'unica scelta era scappare. Il grande movimento della "Fuga" (Habricha) comincio' ad assumere proporzioni di massa.
La fuga dalla Polonia
La "Fuga" era stata una reazione spontanea dei gruppi attivisti dei sopravvissuti che gia' durante l'occupazione nazista vedevano terminata la centenaria coesistenza fra Ebrei e abitanti dell' Europa dell' Est. Mentre essi prestavano aiuto ai sopravvissuti che cominciavano a venir fuori dalle foreste e dai nascondigli, questi gruppi si sforzavano di contattare i rappresentanti del Mossad le-Aliyah Bet (l'organizzazione che dirigeva l'immigrazione illegale per Eretz Israel, in genere conosciuta come "Mossad") in Romania, in modo di organizzare una rotta meridionale per il mar Meditterraneo.
Per i sopravvissuti, Eretz Israel non era solo un rifugio sicuro, ma il solo luogo nel mondo dove l' Ebreo potesse essere padrone del proprio destino. I sopravvissuti dei movimenti giovanili sionisti organizzarono la direzione di questa migrazione spontanea, credendo che la responsabilita' del destino del loro popolo fosse nelle loro mani.
Inizialmente la "Fuga" era un flusso di migliaia di persone al mese, alcune organizzate ed altre no, che passavano i confini della Polonia. Il movimento era sostanzialmente illegale; esso sfruttava il caos generale presente nel paese e nei suoi confini. Nel periodo immediatamente successivo alla Guerra, l'Europa brulicava degli spostamenti dei rifugiati; nell' estate del 1945, milioni ritornarono alle loro case: prigionieri destinati ai lavori forzati ora liberati, profughi scappati per scampare alla Guerra, prigionieri di guerra e ostaggi.
Dopo il pogrom di Kielce, il movimento della "Fuga" cambio' totalmente aspetto. Il piccolo flusso di persone divenne improvvisamente pesante e la fuga fu semi-legale. Si cerco' i convincere il governo polacco che questo fosse il modo preferibile per risolvere il "problema ebraico", dando quindi agli Ebrei il permesso di un' emigrazione semi-legale. Fu deciso di permettere agli ebrei di lasciare la Polonia da alcune zone del confine; questa soluzione rimase effettiva fino al 22 febbraio 1947, quando il confine fu chiuso: nel frattempo fra i 75,000 e i 100,000 Ebrei erano gia' fuggiti dalla Polonia.
In seguito alla sconfitta della Germania nel 1945, l'Europa scopriva l'esistenza e gli orrori dei campi di sterminio e di concentramento. I campi liberati ospitavano circa 60,000 Ebrei, ridotti ad ombre di esseri umani, scheletri al confine fra la vita e la morte. A Bergen-Belsen, piu' di 13,000 Ebrei morirono dopo la liberazione del campo, nonostante le devote cure dello staff medico degli Alleati, il quale non aveva piu' la possibilita' di fare qualsiasi cosa.
Diecimila Ebrei sopravvissuti ritornarono alle loro case. Gli Ebrei dell' Europa dell' Ovest, Francia, Italia, e Paesi Bassi, furono reintegrati nelle loro terre d'origine. Per essi, l'odissea della Seconda Guerra Mondiale era giunta a termine. Lo stesso non avvenne per gli Ebrei dell' Europa dell' Est: essi erano stati vomitati dalle loro nazioni, e privi di una casa, di una famiglia e di una patria, tornarono negli stessi campi che avevano lasciato, per lo meno la', avrebbero potuto ricevere un tozzo di pane e l'amicizia di persone nelle loro stessa situazione.
Nell' autunno del 1945 David Ben-Gurion, presidente dell' Agenzia Ebraica, fece un giro per i campi in Germania. Fu accolto con lacrime di gioia e con vivo entusiasmo, essendo egli il simbolo della speranza per i sopravvissuti e il continuazione dell' esistenza ebraica. Da parte sua, Ben-Gurion riconobbe nei sopravvissuti la grande opportunita' storica per il Movimento Sionista: i sopravvissuti sarebbero stati l'arma effettiva del Movimento Sionistico. Era ormai chiaro che gli Inglesi avrebbero perseguito la loro politica pro-Araba e che essi erano determinati a separare la questione arabo- palestinese con il problema degli Ebrei "non grati" in Europa. Ben-Gurion riteneva che il coinvolgimento dell' America nella questione di Eretz Israel, avrebbe creato l'impeto per sbloccare lo status quo. Nonostante anche gli Inglesi fossero i vincitori della Guerra, essi erano in debito con l' America, politicamente ed economicamente, ed egli sperava in tal modo che l'America avrebbe indotto l'Inghilterra a cambiare la sua politica. Percio', ancor prima di ritornare a casa, Ben-Gurion istrui' i rappresentanti del Mossad ad incoraggiare la fuga degli ebrei dell' Est verso le zone in Germania sotto occupazione americana, in maniera che il problema degli Ebrei avrebbe portato l'America a fare pressione agli Inglesi e permettere l'immigrazione ebraica.
I campi profughi
La maggior parte degli 8,000,000 fra gli ostaggi di guerra e fra i prigionieri destinati ai lavori forzati, ritornarono alle loro case nell'estate del 1945. Fra il 1946-1947, circa un milione di profughi, il cui rimpatrio era considerato impossibile, rimasero ancora in Germania. La popolazione era formata da tre gruppi principali: gli abitanti dell' Europa dell' Est che erano stati strappati dalle loro case dai Nazisti, i quali temevano di ritornare a causa del regime Sovietico; i collaboratori coi Nazisti, i quali temevano punizioni e vendette ; ed infine i profughi Ebrei. Essi erano circa il 25% del totale dei profughi.
L' American Joint Distribution Committee ed altre organizzazioni filantropiche miglioravano lo standard della vita nei campi profughi, provvedendo al cibo, agli abiti, all'educazione e ai servizi di assistenza. Nell'autunno del 1945, le autorita' dell'occupazione americana favorirono l'accesso ai loro territori in Germania e in Austria al flusso degli Ebrei provenienti dall'Est. Questa politica funziono' fino all'autunno 1946, nonostante la pressione inglese per cambiarla. I "fuggitivi" venivano quindi diretti verso la zona sotto occupazione americana. Nella zona sotto occupazione inglese gli Ebrei ricevettero un trattamento assai peggiore: i loro problemi non venivano considerati diversamente dal resto dei profughi, e gli Inglesi si rifiutavano percio' di favorirgli un trattamento speciale. Inoltre, gli Inglesi limitarono l'entrata degli Ebrei nei campi situati sotto la loro occupazione.
Vivere una vita normale
Nonostante le limitazioni, la vita nei campi profughi era piena di vitalita' ed intensita': era come se i profughi volessero recuperare tutto il tempo e la vita persa durante la Guerra. Piu' di ogni altro, essi bramavano relazioni umane. Cio' si manifesto' inizialmente nella disperata ricerca di un legame sanguigno; la ricerca dei familiari si diresse verso quei sopravvissuti che avevano una qualsiasi connessione con la vita precedente: individui provenienti dallo stesso paese o dalla stessa citta' o che perfino si conoscevano, divennero amici intimi. Persone dallo stesso paese si riunirono insieme, ed il gruppo divenne il sostituto della famiglia.
Ognuno aveva urgenza di farsi una famiglia. Nonostante i campi profughi fossero in genere stabiliti in basi militari abbandonate, dove le ampie stanze non permettevano un minimo di intimita', il desiderio di formare una famiglia non venne meno. Il tasso di natalita' nei campi fu il piu' alto nel mondo. Perfino considerando che l'eta' media dei sopravvissuti era fra i 20 e i 40 anni, non si puo' non essere impressionati dalla passione per la vita e dalla speranza nel futuro dei sopravvissuti nella loro prontezza a ricominciare la vita sentimentalmente e ad assumersi le responsabilita' di una famiglia. I bambini erano diventato il simbolo dell'agognata normalita', la rinascita della catena interrotta dall' annientamento di intere generazioni di bambini Ebrei. Era come se ogni bambino nato fosse il contributo personale di ogni sopravvissuto al continuamento del popolo ebraico.
Molti degli abitanti dei campi desideravano ritornare ai loro studi e ai loro libri. C'era un'intensa attivita' culturale: furono organizzate scuole ed asili, cosi' come corsi per adulti, che venivano chiamati "le universita' del popolo". Neanche la yeshiva era assente dalla scena. Le biblioteche divennero un'istituzione importante all'interno dei campi: non importava quanti libri venissero mandati da Eretz Isreal e dall'America, essi non bastavano ugualmente.
Soldati da Eretz Israel
Il primo incontro fra i sopravvissuti e l' yishuv fu con i volontari Ebrei che servivano all'interno della milizia inglese. Gia' da tempo questi soldati avevano lo scopo di rintracciare i sopravvissuti. Prima ancora che le delegazioni della Jewish Agency arrivassero in Germania (a causa di ostacoli burocratici), i soldati Ebrei inglesi furono ingaggiati per prestare aiuto ed assistenza ai profughi. Essi fornivano i veicoli, la benzina e gli approviggionamenti ai "fuggitivi" verso i campi profughi tedeschi, o verso le coste d' Italia o in Francia. Essi furono i responsabili dell' organizzazione di case per bambini e di tirare fuori dai conventi cristiani i bambini nascosti durante la Guerra. Essi furono gli unici che cominciarono a lavorare per organizzare una vita nei campi. Ma piu' di tutto, il loro maggior contributo venne dall'aiuto morale: la sola vista di un soldato con la Stella di David indosso comporto' un misto di emozione e di identificazione nazionale, sentimenti di cui i sopravvissuti avevano urgente bisogno.
I membri della Brigada erano originari delle stesse terre dai quali venivano anche i sopravvissuti, conoscevano la lingua e la mentalita' dei rifugiati, presto o tardi, la comunicazione e l'attaccamento fra questi divenne pressoche' naturale e spontaneo.
Intuitivamente i sopravvissuti vedevano in Eretz Israel il loro ultimo porto, l'unica speranza. Le porte degli Stati Uniti , del Canada e del resto dei paesi dell' Occidente rimasero chiuse per i rifugiati (solo 12,000 immigrarono negli Stati Uniti prima del 1948).
Verso Eretz Israel
L' immigrazione "illegale" verso Eretz Israel, in contrasto all'immigrazione approvata tramite i certificati distribuiti dagli Inglesi, fu rinnovata nel 1944. I "fuggitivi" che scappavano verso le coste italiane, incontravano li' i soldati da Eretz Israel, e l'Alyah Bet comincio' ad organizzare una fitta rete di immigrazione "illegale". La rete tessa dal Mossad in varie parti d'Europa si occupava dell'acquisto delle navi, dell'equipaggiamento, dell'imbarco degli immigranti verso Eretz Israel. Le condizioni a bordo delle navi erano molto dure: l'affollamento, i sistemi sanitari scadenti, il cibo e l'acqua limitati erano le condizioni sotto le quali i rifugiati vivevano per giorni o perfino svariate settimane. Fra il 1945 e il 1948, 66 navi "illegali" con a bordo 70,000 immigranti presero la loro strada per Eretz Israel. Gli Inglesi si appellarono ai governi dove si trovavano i porti di imbarcazioneper prevenire l' immigrazione, ma dato che cio' non bastava, essi cominciarono ad intraprendere dei blocchi navali intercettando le navi e mandando i profughi a bordo nei campi stabiliti a Cipro.
Con l'affare "Exodus" risulto' al mondo che la politica inglese non poteva piu' tener capo al problema dei profughi Ebrei, e che il "problema ebraico" dei profughi non poteva essere piu' scisso dalla soluzione del problema di Eretz Israel: la soluzione del problema dei sopravvissuti dell'Olocausto era solo una, la fondazione di uno Stato Ebraico in Eretz Israel.
Circa diecimila scampati ai campi presero parte alla Guerra d'Indipendenza, e molti trovarono li' la loro morte.
Testimonianze dei sopravvissuti dopo la fine della Guerra.
Shmuel Pisar riporto' nella sua testimonianza: "Ogni persona nella base militare scoppiava da una gioia sfrenata... Saremmo dovuti essere estremamente felici, ma sentivamo invece uno strano vuoto".
Antek Zukerman ricorda il significato di quei giorni: "Un giorno del gennaio 1945, dopo aver passato svariati giorni ascoltando il rumore dei cannoneggiamenti a Grodszk, vicino a Varsavia, ci venne riferito che i carri armati dell' Armata Rossa avevano raggiunto il mercato della citta'. Mi sembro' che il dolore non fosse mai stato tanto grande come in quel giorno gioioso... Quel giorno, il 17 gennaio, fu il giorno piu' triste della mia vita. Volevo sfogarmi dal pianto, non dalla gioia, ma dall' afflizione. Non sto dicendo che piansi, ma che per la prima volta avrei voluto spargere lacrime... Improvvisamente eravamo messi di fronte alla desolazione di dover tirare le somme. Cosa? Chi? Quando tutto e' ormai stato detto e fatto, c'e' un limite alla battaglia per la vita. Avevamo vissuto tutto quel tempo con una certa sensazione di missione, ma ora? Era finito! Per quale fine, a quale scopo? Zvia non mi aveva mai visto sfogarmi di pianto, perche' non avevo mai pianto. Mai, neanche una volta, mi avevano visto avvilito. Dovevo vivere appieno la vita. Ma in quel 17 gennaio, tutto quanto... non era facile essere l'ultimo dei Mohicani..." (Yitzhak [Antek] Zuckermann, Yetsi' at Polin (Exodus from Poland), Hakkibutz Hameuhad Publishing House and Ghetto Fighters' House, 1988).
Judith Hamendinger: "Un argomento importante ed urgente era restuirgli la loro identita'. Per questo imparammo a memoria i loro nomi: sedevamo con loro sul prato e nella sala da pranzo e chiedevamo ad ognuno come si chiamasse da cinque fino a dieci volte, finche' non imparammo a distinguere fra ognuno di loro. E quando riuscivamo a dire: "Buon giorno Menashe", "Come stai Mordehai?", loro si meravigliavano molto, ci guardavano come se non credessero che qualcuno li potesse chiamare per nome...".
Primo Levi: "Giunsi a Torino il 19 ottobre, dopo trentacinqua giorni di viaggio: la casa era in piedi, tutti i familiari vivi, nessuno mi aspettava. Ero gonfio, barbuto e lacero, e stentai a farmi riconoscere. Ritrovai gli amici pieni di vita, il calore della mensa sicura, la concretezza del lavoro quotidiano, la gioia liberatrice del raccontare. Ritrovai un letto largo e pulito, che a sera (attimo di terrore) cedette morbido sotto il mio peso. Ma solo dopo molti mesi svani' in me l'abitudine di camminare con lo sguardo fisso nel suolo, come per cercarvi qualcosa da mangiare o da intascare presto e vendere per pane; e non ha cessato di visitarmi, ad intervalli ora fitti, ora radi, un sogno pieno di spavento." ( Primo Levi, La tregua, Einaudi, 1963).
Dorothy Finger: " Un momento molto speciale della mia vita fu la prima volta che vidi le luci di New-York. Era notte, e il tempo era piacevole. Salimmo sul ponte della nave e guardammo le meravigliose luci del Paese libero, provai una gioia che non avevo sentito da anni. Ero felice. Ripensai all'Europa, che mi sembrava ormai cosi' tetra, ripiena di lacrime che avevo lasciato dietro di me, mentre vedevo ora di fronte a me una terra con un futuro prossimo. Ci credevo. Pensavo fosse un'utopia, ma era veramente New-York. Penso che quello fu il giorno piu' felice della mia vita...".