Giovanni Miccoli: Il Vaticano e la persecuzione degli ebrei.
La mia relazione si dividerà in tre parti.
Nella prima verrà preso in esame l'atteggiamento della Santa Sede e dell'episcopato tedesco di fronte all'antisemitismo nazista e alla persecuzione degli ebrei tedeschi nel corso degli anni Trenta. Di fronte al rischio di divenire essa stessa oggetto di persecuzione, la Chiesa tedesca assunse un atteggiamento passivo, cui del resto la spingeva anche il fatto che, nel passato, misure di discriminazione antiebraica erano state suggerite anche da autorevoli esponenti cattolici e che generalmente negativo era il suo giudizio sull'influenza degli ebrei nella società tedesca: un giudizio questo, peraltro, largamente diffuso nel cattolicesimo europeo (va ricordata a questo riguardo la tradizione antisemita dei partiti e dei movimenti cattolici quale si sviluppa fin dagli ultimi decenni dell’Ottocento). D'altra parte i propositi di riscossa nazionale dei nazisti non mancavano di incontrare largo consenso anche tra i cattolici. La Santa Sede per parte sua colse al balzo l'interesse di Hitler di concludere un concordato valido per tutto il Reich e, successivamente, si limitò a difendere preti e fedeli cattolici dalla strisciante persecuzione, protestando per le numerose infrazioni portate al concordato. In quest'ottica la “questione ebraica” venne considerata una faccenda interna tedesca sulla quale non era opportuno intervenire.
Tale atteggiamento sembrò mutare sullo scorcio del pontificato di Pio XI: all'esame di tale aspetto, generalmente sottovalutato dalla storiografia, sarà dedicata la seconda parte del mio intervento. Fu in effetti di fronte all'accentuarsi delle tensioni con il Terzo Reich e alla prospettiva di introduzione di una legislazione razziale anche in Italia che il pontefice, pur vecchio e malato, prese alcune iniziative in cui la questione della persecuzione antiebraica veniva affrontata di petto, sia con dichiarazioni pubbliche sia incaricando un gesuita americano di preparare il testo di un'enciclica contro il razzismo e l'antisemitismo. La sua morte, il 10 febbraio 1939, impedì che tale iniziativa arrivasse a buon fine, ma non mancano i segni che la prospettiva di una rottura con il Terzo Reich, cui una tale enciclica avrebbe certo condotto e che le stesse dichiarazioni pubbliche di Pio XI lasciavano chiaramente presagire, era vista assai di cattivo occhio da settori consistenti della diplomazia pontificia e dello stesso episcopato tedesco. D’altra parte l’introduzione di una legislazione antiebraica ad opera del regime fascista aveva creato imbarazzi, perplessità, ma solo marginali opposizioni nello stesso cattolicesimo italiano.
La terza parte affronterà alcuni dei molti problemi connessi all'atteggiamento della Santa Sede e della Chiesa cattolica tedesca (con alcuni riferimenti anche agli episcopati e ai cattolici degli altri paesi europei) durante la guerra di fronte alla deportazione e allo sterminio degli ebrei. Dopo aver mostrato la vanità di ogni tentativo apologetico di sostenere che mancavano le informazioni precise su ciò che stava avvenendo agli ebrei, verranno presi rapidamente in esame i diversi condizionamenti che impedirono all'episcopato tedesco di intervenire pubblicamente, si offrirà qualche cenno sulle prese di posizione vescovili e sull’atteggiamento dei cattolici in alcuni altri paesi europei, mentre, per ciò che riguarda la Santa Sede, si metteranno in luce l'insieme di preoccupazioni che ne orientarono l'azione durante la guerra, inducendo Pio XII e la diplomazia vaticana a interventi reticenti e limitati in difesa degli ebrei.