L_M_N_O_P_Q_R
Israel Giorgio
Il fascismo e la razza: la scienza italiana e le politiche razziali del regime
Bologna, Il Mulino, 2010
Le politiche razziali del fascismo furono dettate esclusivamente da scelte di politica estera, e in particolare dall'alleanza stretta con Hitler, oppure ebbero radici e motivazioni autoctone? Razzismo e antisemitismo furono elementi costitutivi dell'ideologia fascista? Quale fu il coinvolgimento della società italiana? E quale il contributo di scienziati e intellettuali? Sono alcuni degli interrogativi cruciali con cui negli ultimi anni si è confrontata la storiografia, nell'intento di fare luce su origini e messa in opera delle leggi razziali antiebraiche volute dal regime nel 1938. Giorgio Israel, autore nel 1998 del primo libro che metteva a fuoco il coinvolgimento del mondo scientifico italiano, torna sull'argomento sulla base di nuove ricerche originali e della copiosa bibliografia ora disponibile. In questo libro documenta con rigore come il razzismo di Stato trovasse sostegno in talune elaborazioni teoriche della scienza italiana, dall'antropologia all'eugenetica, alla demografia. Quanto al mondo universitario, se per un verso scontò l'espulsione degli scienziati ebrei, per un altro contribuì alla politica razziale del regime, salvo poi, nel dopoguerra, "dimenticarsi" delle compromissioni, in un processo di rimozione che in molti casi dura ancora oggi.
Giorgio Israel insegna Storia della matematica nella Sapienza - Università di Roma. Con il Mulino ha pubblicato "Scienza e razza nell'Italia fascista" (con P. Nastasi, 1998), "La questione ebraica oggi" (2002), "La Kabbalah" (2005). Tra i suoi libri recenti: "Chi sono i nemici della scienza?" (2008, Premio Capalbio), "Il mondo come gioco matematico" (2008, con A. Millán Gasca, Premio Peano).
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levi arrigo
un paese non basta
ed. il mulino 2009
A coronamento di una carriera intensa e fortunata, Arrigo Levi si è accinto a scrivere il suo "come diventai giornalista" ma, si sa, la memoria ci porta dove vuole lei: così è nato questo limpido e sereno reincontro con le proprie origini, un racconto intessuto di riflessioni e ricordi, che rievoca il mondo felice della giovinezza, trascorsa in un'agiata famiglia della borghesia ebraica modenese, e poi le peripezie subite a causa dell'andata al potere del fascismo e delle leggi razziali, l'emigrazione in Argentina, il ritorno in patria, la partecipazione da soldato alla nascita di Israele, il decennio nell'Inghilterra di Churchill e di Giorgio VI, l'ingresso definitivo nel giornalismo. Ritessendo la tela della propria formazione, itinerante di paese in paese, Levi riflette anche sulla fede, sui totalitarismi, sulla tragedia della Shoah, e in pagine di lucida e spesso sorridente saggezza consegna al lettore una penetrante lezione sul Novecento.
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Loewenthal Elena
La lenta nevicata dei giorni
Einaudi 2013
Fernande e André sono una giovane coppia in fuga dai nazisti, che insieme ad alcuni amici ebrei trascorre il periodo della guerra in un beato ma angoscioso isolamento durante il quale il tempo sembra sospeso. La promessa che si fanno è quella di poter tornare un giorno alla casa del sogno: una villa a picco sul mare nel sud della Francia, sotto un enorme faro bianco. E se molti loro amici e conoscenti sono destinati agli atroci viaggi nei treni piombati, alla diaspora degli affetti e alla perdita dell'identità - prima ancora che della vita -, loro due invece ce la faranno. Dopo la guerra Fernande vive intensamente, fra Parigi e la casa del sogno. Ma il matrimonio con André diventa un rapporto di confidenza e intimità simili a quelle che si riservano agli amici. Nel frattempo Fernande incontra il Poeta, che la eleggerà a musa ispiratrice della sua arte, regalandole una trasgressione venata di dolcezza. Il passato però resta sempre li. Non è neanche un'eco, piuttosto una presenza costante, incancellabile, terribilmente dolorosa. Qualcosa che "non passa, non passa, non passa per nessuno di noi". Perché ciò che è accaduto è inestirpabile: tutti i personaggi in qualche modo lo incarnano, lo rivivono anche se non ne parlano mai. "La lenta nevicata dei giorni" - che deve il titolo a un verso di Primo Levi - è un romanzo capace di ricomporre lo specchio infranto che è la memoria di chi sopravvive.
Lucatti Daniela
Rom-antica gente
magi edizioni
Su queste pagine, che fin da subito diventano una
vivida fotografia dell’attuale situazione dei rom in Italia, si succedono storie
di persone, donne innanzitutto. La porta d’ingresso di un ufficio comunale
destinato alla consulenza agli stranieri si apre su un mondo abitato da chi deve
inventarsi una quotidianità, avere il coraggio di tentare di trovare un lavoro,
pensare al futuro tramite una scolarizzazione sperata e raramente realizzata,
gridare al diritto di un’assistenza sanitaria esistente solo sulla carta ma di
fatto negata con mille pretesti…
Argia è vecchia e stanca e non ce la fa più. L’hanno mandata via dalla stanza al
cimitero dove viveva e stava bene.
Argia non aveva paura dei morti. «Morti non mordono», ma i serpenti e i topi che
entrano ora nella sua roulotte sì. Nariba non vuole che i suoi figli stiano
nella lista degli zingheri. Mica fa l’elemosina, lei. A Lukia viene portato via
il figlio, ma se Lukia non è una buona madre, chi lo è allora?
Visto da dentro, visto da vicino, semplicemente visto, i rom sono un popolo che
trabocca di vitalità, risorse e capacità da noi ormai non più immaginabili.
L’autrice, grazie a una tanto particolare quanto rara fusione del proprio ruolo
istituzionale con il proprio cuore, racconta il rapporto che lega (di fatto
separa) i due mondi.
Dando una grandissima lezione su cosa dovrebbe voler dire lavorare nel pubblico,
agire nel rispetto e rispettare il diritto, relazionarsi con l’utente.
O, più semplicemente, su come incontrare l’altro e riconoscerlo non diverso da
se stesso.
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Il genocidio armeno nella storia e nella memoria
Nuova Cultura 2011
Persecuzioni agli armeni nella Turchia dell'Ottocento, genocidio armeno durante la prima guerra mondiale. Accadimenti insieme dimenticati e ricordati, negati e comunicati. Se ne sono occupati testimoni stranieri, sopravvissuti, studiosi, scrittori. Recentemente sono usciti romanzi, film che ricordano questa epopea. A partire da questi ricchi materiali il testo ripercorre gli anni delle stragi degli armeni, i loro tentativi di sopravvivere, di tramandare il ricordo di quanto subito; quelli, da parte turca, di diminuire la portata di questi fatti, di rovesciarne la responsabilità sulle vittime stesse. Il libro propone, auspica il riconoscimento pieno di quanto occorso, la cessazione delle persecuzioni a chi, in Turchia, parla del genocidio armeno. E quindi uno sbocco possibile, con l'ingresso della Turchia nell'UE, una volta realizzati nuovi, più consapevoli equilibri.
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Mantelli Brunello - Tranfaglia Nicola
il libro dei deportati. Vol. 3: La galassia concentrazionaria SS 1933-1945.
Mursia 2010
Con questo terzo volume, "Il libro dei deportati" ripercorre la storia dei principali campi di concentramento nazisti, nota al lettore italiano non specialista grazie alla memorialistica per il periodo settembre 1943-maggio 1945. Ma i «Konzentrationslager» nazisti erano preesistenti, costituiti immediatamente dopo la chiamata al potere di Hitler o fondati successivamente, ciascuno con una sua funzione spesso legata al luogo ove era sorto, ma tutti soggetti a uno sviluppo strettamente connesso con l'evoluzione complessiva del Terzo Reich, con il progressivo estendersi del numero dei soggetti «non conformi» ai modelli umani di regime e perciò destinati al Lager (dagli oppositori politici ai devianti sociali e poi, dal '38, agli ebrei), con il gigantismo architettonico dei progetti hitleriani di monumentalizzazione delle città tedesche e, dal '42, con la drammatica fame di manodopera che affligge l'economia di guerra del regime nazista, impegnato a Oriente su uno smisurato fronte di guerra e obbligato a servirsi senza riguardo alcuno di ogni possibile riserva di braccia. Le vicende di ogni Lager vengono analizzate da specialisti tedeschi, austriaci, polacchi, francesi e italiani (Bergen Belsen da Thomas Rahe, Buchenwald da Harry Stein, Dachau da Gabriele Hammermann, Mittelbau-Dora da Jens-Christian Wagner, Ebensee da Wolfgang Quatember, Flossenbürg da Johannes Ibel, Mauthausen da Christian Dürr, Natzweiler-Struthof da Robert Steegmann, Neuengamme da Detlef Garbe...).
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Mantelli Brunello - Tranfaglia Nicola
prigionieri politici nei lager nazisti
Mursia editore 2009
IL LIBRO DEI DEPORTATI
ITALIANI - UN'OPERA MONUMENTALE SUI DETENUTI NEI LAGER TEDESCHI
Per gli "assassini della memoria" c'é un nuovo, insormontabile, ostacolo: nomi,
dati anagrafici e storia dei 23.826 italiani (22.204 uomini e 1.514 donne)
deportati, tra il 1943 e il 1945, per motivi politici in Germania nei campi di
concentramento. Un lavoro gigantesco che ora trova sistemazione organica nel
primo volume suddiviso in tre tomi, dell'opera Il Libro dei Deportati 1943-1945
(Milano, Mursia; pp. 2554, 120 euro) di Nicola Tranfaglia, Brunello Mantelli,
Francesco Cassata, Giovanna D'Amico, Giovanni Villari, realizzato con il
contributo fondamentale della fondazione Compagnia di San Paolo e
dell'Assessorato alla Cultura del Piemonte, e già presente in tutte le librerie
italiane.
Un'iniziativa
editoriale che segue idealmente Il Libro della Memoria di Liliana Picciotto
sugli ebrei italiani trucidati nei campi di sterminio tedeschi e che rappresenta
una pagina definitiva della "storia nazionale", parte di quella europea. "Dare
volto" ai sommersi - questo l'obiettivo del libro con in appendice 200 pagine di
grafici e di tabelle - è costato anni di lavoro ed è dovuto in primis alla
caparbietà di due ex deportati: Bruno Vasari, già presidente dell'Aned di
Torino, scomparso di recente, e Italo Tibaldi che fece il censimento dei
deportati e costrui, in cinquant'anni di lavoro volontario, un primo archivio,
forte di circa 45.000 schede. La storia della
deportazione indica subito un primo elemento: nessuna provincia dell'Italia del
1943 ne è stata esente, nemmeno le isole e quelle aree del meridione che non
conobbero l'occupazione tedesca, la Repubblica sociale e la conseguente
Resistenza. Di sicuro, tuttavia, la prevalenza nella provenienza va ascritta
alle regioni del nord. Dei 22.826 italiani rinchiusi nei 'Konzentrationslager'(KL),
11.432 furono designati come 'Schutzhaftling' (deportati per motivi di
sicurezza), 3.723 come 'Politisch' (in parte già presenti nel Casellario
politico centrale dell'Italia fascista), 801 come 'asociali', 779 come
prigionieri di guerra, 198 come 'criminali abituali' (detenuti in carceri
italiane e consegnati da Salò ai tedeschi), 170 come lavoratori civili rimasti
intrappolati in Germania, 7 come religiosi e 15 come ebrei-politici.
Fu chiara per tutti i deportati, man mano che la Germania aveva bisogno di forza
produttiva, la natura della deportazione: il lavoro schiavo. Le morti furono,
sul totale, 10.129, una percentuale vicina al 50%, che arrivò al 55% nel lager
di Mauthausen. Fu tuttavia Dachau, con 9.311 persone, il luogo con il maggior
numero di deportati italiani; a seguire, Mauthausen con 6.615, Buchenwald con
2,123, Flossenburg con 1.798, Auschwitz con 847 e via via gli altri campi.
Dall'incrocio dei dati, balza evidente il fatto che oltre il 25% dei deportati
fu catturato in operazioni di rastrellamento: in 716 di queste - di cui si
conosce la composizione dei reparti - ben 224 (il 31,3%) furono condotte unità
militari o di polizia di Salò. I rastrellati erano suddivisi in tre categorie: i
partigiani che quando "non erano passati per le armi" venivano avviati ai KL; i
fiancheggiatori, o fucilati o deportati; i renitenti alla leva, trasferiti in
Germania come lavoratori forzati ma non nei KL. Il libro non ha preso
in considerazione né i deportati ebrei (a breve ci sarà una terza edizione,
coordinata, de Il Libro della Memoria, né, per carenza di dati, quelli rimasti
alla Risiera di San Saba. La messe di informazioni e di dati biografici che il
libro fornisce, ribadisce così una realtà storica - dice nella prefazione
Gianfranco Maris, presidente dell'Aned - "tanto assoluta" quanto "aggredita,
contestata, manipolata, minimizzata, negata, sottoposta ai più infimi
revisionismi strumentali al solo scopo di delegittimare politicamente i processi
stessi della Liberazione del nostro paese e della nascita della nostra
Costituzione".
Il Libro dei Deportati, volume I, è stato presentato ufficialmente al Presidente
della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel corso delle celebrazioni ufficiali
della Giornata della Memoria, il 27 gennaio 2009.
Nell'aprile 2009 uscirà il volume II, composto da saggi e studi regionali,
nazionali ed internazionali sulla deportazione, per un totale di circa 1000
pagine.
La rassegna stampa sul Libro dei Deportati - I volume è consultabile on line sul
sito dell'editore Mursia.
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maraini dacia
Il treno dell'ultima notte
Rizzoli ed.
Emanuele è un bambino ribelle e pieno di vita che vuole costruirsi un paio di ali per volare come gli uccelli. si arrampica sui ciliegi e si butta a capofitto in bicicletta giù per strade sterrate. Tutto ciò che resta di lui e della sua straordinaria vitalità è un pugno di lettere e un quaderno nascosto in un muro nel ghetto di Lodz. Per ritrovare le sue tracce, Amara, l'inseparabile amica d'infanzia, attraversa l'Europa del 1956 su un treno che si ferma a ogni stazione, arrivando sgomenta a visitare ciò che resta del campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, a percorrere le strade di Vienna alla ricerca di sopravvissuti, giungendo poi a Budapest mentre scoppia la rivolta degli ungheresi Nella sua avventura, e nei destini degli uomini e delle donne con cui viene a contatto si rivela il senso della catastrofe e dell'abisso che ha fagocitato il Novecento, e insieme la speranza di un mondo diverso.
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Matteo Marani
DALLO SCUDETTO AD AUSCHWITZ
Aliberti 2007
"Mi sembra si chiamasse Weisz, era molto bravo ma anche ebreo. Chi sa come è finito”.
Enzo Biagi
Arpad Weisz. Sicuramente alla maggior parte, anche tra
i più preparati appassionati di calcio, questo nome non dirà niente. Il
giornalista sportivo Matteo Marani (Guerin Sportivo) dopo aver tolto polvere da
numerosi archivi e raccolto testimonianze, ci porta all'interno della storia
appassionante prima e tragica poi, di uno degli allenatori (se non l'allenatore)
più innovativi e vincenti della sua epoca, ma sepolto da settant'anni di oblìo.
Una vita, la sua e quella della moglie Elena e dei figli Roberto e Clara, fatta
(proprio come una partita) di un primo tempo e di un secondo tempo. Il primo
tempo dell'allenatore ebreo di origini ungheresi, fatto di vittorie
e gioie, dello scudetto all'Inter nel 29/30 e i due con il Bologna targati 35/36
e 36/37. Allenatore del leggendario Bologna che "tremare il mondo fa" e che
riuscì a portare all'apoteosi internazionale con la vittoria sui maestri inglesi
del Chelsea nella Coppa dell'Esposizione (una specie di Champions League
dell'epoca) a Parigi nel 1937.
Un tragico e angoscioso secondo tempo che si apre con l'emigrazione dall'Italia
dopo l'entrata in vigore delle vergognose leggi razziali nel 1938 e che conduce
la famiglia Weisz prima in Francia e poi in Olanda. Qui l'allenatore trova un
ingaggio nella primavera del '39 nel Dordrecht Fc, piccola squadra invischiata
nei bassifondi dell'allora ancora semi-dilettantistico campionato olandese di
prima divisione. Grazie alla sua grande esperienza e preparazione, Arpad Weisz
riesce in
quello scorcio di stagione a portare il club a una insperata salvezza, mentre
nelle due successive riesce nell'impresa irripetuta di classificare il Dordrecht
Fc al quinto posto.
A questo punto inizia invece il calvario di Arpad e
della sua famiglia. Nel settembre '41, con le truppe naziste già forza di
occupazione in Olanda, in quanto ebreo gli viene vietato di continuare ad
allenare, e mentre tutte le libertà personali lentamente continuano ad
assottigliarsi, si avvicina la fine. La mattina 2 agosto 1942, nella loro casa
di Dordrecht, i Weisz vengono svegliati di soprassalto dagli uomini della
Gestapo che li trasferiscono nel campo di raccolta di Westerbork, anticamera di
Auschwitz. Infatti, dopo pochi mesi, il 2 ottobre, la famiglia viene caricata su
un convoglio diretto al campo di sterminio polacco. Per la moglie Elena e i
figli Roberto e Clara il tragico epilogo è immediato, con la via delle camere a
gas, mentre Arpad, ormai privo di ogni spirito di vita riuscirà a sopravvivere
alle vessazioni e agli stenti grazie al suo fisico di sportivo fino al 31
gennaio 1944. Poi, anche per lui arriverà finalmente il sospirato triplice
fischio finale, su una vita straordinaria e al tempo stesso drammatica, travolta
nel vortice dell'immane crudeltà e atrocità di cui l'uomo può essere capace.
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Marchesin Gino
Una testimonianza da un lager quasi
sconosciuto alla storia: quello di Belgrado.Il rarissimo racconto di un
internato militare, Gino Marchesin, sulla resistenza contro i tedeschi a Corfù e
sulla prigionia nel lager di Belgrado
Inquadramento storico a cura di
Jože Pirjevec
La vicenda ripercorre in modo
geografico-cronologico le tappe dell’odissea del testimone Gino Marchesin dopo
la cattura: Corfù, Igoumenitsa, Joannina, Florina, Belgrado, Nis, Osijek,
Radkersburg. Il libro raccoglie l’intera parabola del testimone, fino al
reinserimento, dopo la guerra, nella vita
sociale e lavorativa.
Gino Marchesin
è nato nel 1923 a La Salute di Livenza, in
provincia di Venezia, dove tuttora vive.
Dopo una difficile infanzia viene reclutato giovanissimo. Sorpreso
dall’armistizio a Porto Edda in Albania,
dove si trova militare, partecipa in seguito alla resistenza contro i tedeschi
nell’isola di Corfù con gli
uomini del reggimento del colonnello Bettini. Fatto prigioniero dopo la caduta
dell’isola, inizia una lunga
odissea nei territori sotto il dominio del Reich, trascorrendo lunghi mesi nel
lager di Belgrado.
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Martini Marcello
Un adolescente in lager. Ciò che gli occhi tuoi hanno visto
Giuntina 2008
Marcello Martini nasce a Prato il 6 febbraio 1930, ultimo dei tre figli di Mario e Milena Dami, e cresce in una famiglia di provata fede repubblicana e antifascista. E catturato a Montemurlo il 9 giugno 1944, dove la famiglia era sfollata, in seguito alla scoperta dell'emittente clandestina di Firenze Radio Gora, con cui il padre Mario, entrato nella Resistenza dopo l'8 settembre 1943 e comandante militare del CLN pratese, aveva collaborato per organizzare un aviolancio di aiuti per le formazioni di lotta clandestina. Il quattordicenne partigiano Marcello fu trasferito nelle carceri fiorentine delle Murate, quindi nel campo di transito di Fossoli e da qui deportato a Mauthausen il 21 giugno, dove fu immatricolato con il numero 76430. Fu poi inviato nel sottocampo di Wiener Neustadt e da qui nel sottocampo di Hinterbrühl, situato nella galleria detta Seegrotte, antica miniera di sale, utilizzata dalla Heinkel per la produzione di aerei a reazione. Dopo lo sgombero del sottocampo e l'eliminazione dei deportati malati, è nuovamente condotto a Mauthausen con una terribile marcia durata dal 1° al 7 aprile 1945. Nuovamente internato nel campo di quarantena, è liberato il 5 maggio 1945 dall'esercito americano. Dopo il ritorno a casa riprende la sua carriera di studente e si laurea in chimica.
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Menozzi Daniele e Mariuzzo Andrea (a cura di),
A settant'anni dalle leggi razziali: profili culturali, giuridici e istitutzionali dell'antisemitismo,
Roma, Carocci, 2010
Si raccolgono qui i contributi presentati in occasione degli incontri promossi dalla Regione Toscana per ricordare il settantesimo anniversario dell’introduzione in Italia delle leggi razziali – avviate dal regio decreto firmato il 5 settembre 1938 da Vittorio Emanuele iii – presso le istituzioni universitarie presenti sul territorio. Se i vari saggi costituiscono una ulteriore testimonianza della vivacità e della profondità con cui nei diversi ambiti (da quello politico a quello culturale, da quello giuridico a quello antropologico) gli studi storici hanno negli ultimi anni affrontato una delle pagine più vergognose dell’Italia contemporanea, il quadro complessivo restituisce un approfondimento su alcune questioni (la continuità o meno dell’antisemitismo nella storia d’Italia; la ricezione delle misure antiebraiche presso la popolazione civile; i processi di rimozione della vicenda nella coscienza collettiva) che sono al centro dell’attuale dibattito.
DAL TESTO – “[…] gli sforzi propagandistici continuano anche successivamente all'emanazione dei provvedimenti razziali e se ne trova un interessante rendiconto nelle relazioni presentate alla Camera e al Senato sul bilancio di previsione dell'esercizio 1943-44 del ministero della Cultura popolare. Nella relazione presentata al Senato dal senatore Maraviglia, in particolare, si illustra la vasta opera di propaganda iniziata nei tre anni precedenti per la diffusione dell'antisemitismo in Italia, attraverso la costituzione di "Centri per lo studio del problema ebraico". Tali associazioni avrebbero dovuto sorgere in tutte le province, sotto la direzione di un "rettore" affiancato da una "consulta", con 1'obiettivo di collaborare strettamente con le prefetture e le federazioni fasciste, sotto le direttive del ministero della Cultura popolare. Il risultato di tale politica non dà però i frutti sperati: il ministro Pavolini, nel suo discorso del 13 maggio 1943 alla commissione legislativa per il ministero della Cultura popolare, dichiara che i centri costituiti in tutta Italia sono quattro (nelle province di Milano, Ancona, Firenze e Trieste). Su quattro milioni di fascisti iscritti in Italia, gli aderenti ai centri sono in tutto 864. La città più importante, Milano, conta 65 aderenti su 100.000 fascisti”.
I CURATORI
– Dopo aver insegnato in diverse Università, Daniele Menozzi è
attualmente docente di Storia contemporanea alla Scuola Normale Superiore di
Pisa. Ha pubblicato diversi lavori sul rapporto tra Chiesa e società nell’età
contemporanea, tra cui, recentemente, Chiesa, pace e guerra nel Novecento
(il Mulino 2008).
Andrea Mariuzzo svolge attività di ricerca presso la Scuola Normale
Superiore di Pisa. Ha pubblicato contributi sulla storia politica e culturale
italiana tra fascismo e Repubblica, tra cui il volume Divergenze parallele.
Comunismo e anticomunismo alle origini del linguaggio politico dell’Italia
repubblicana (Rubbettino 2010).
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HERMANN
FRANK MEYER
IL MASSACRO DI CEFALONIA
Prefazione di Giorgio Rochat, a cura di Manfred H. Teupen
Gaspari Editore, Udine 2013
Ci sono libri la cui lettura impone pause per il blocco mentale che impedisce
di continuare. “Il massacro di Cefalonia”, scritto da Hermann Frank Meyer, è uno
di questi. L’autore, scomparso nel 2009, effettuò per vent’anni puntigliose
ricerche sui crimini di guerra compiuti dalla 117ª divisione cacciatori della
Wehrmacht in Serbia e in Grecia e sugli eccidi dei soldati della Divisione Acqui
ad opera della 1ª Divisione da montagna ed altre unità a Cefalonia e a Corfù.
L’autore individua reparti, compagnie, plotoni, ricostruisce l’azione di
ufficiali, sottufficiali e persino di soldati del Reich, documenta episodi e
circostanze - anche di inutile e gratuita ferocia - attraverso la ricostruzione
dei documenti e il racconto di protagonisti e scampati all’eccidio, compresa la
fucilazione del gen. Gandin, che inutilmente trattò con il generale Hubert Lanz,
comandante del XII Corpo d’armata. Seguirono pochi giorni di combattimenti
impari, poi l’ordine di Hitler di fucilare tutti, ufficiali e soldati di truppa
accusati di tradimento solo perché preferirono la morte al disonore. Il libro
rivela tanti particolari inediti del calvario dei nostri soldati. Della
disperazione, della rabbia, della dignità davanti ai carnefici, di come vennero
abbandonati volutamente insepolti migliaia di morti. Della instancabile opera
dei cappellani per tentare di salvare qualche vita. Dei plotoni di esecuzione
che smisero dopo ore e ore solo perché non ne potevano più. Delle centinaia di
italiani salvati dalla popolazione dell’isola. Dei “Das erinnere ich nicht” (non
ricordo) del dopoguerra, di molti responsabili, come il generale Lanz, che venne
condannato dal tribunale di Norimberga a 12 anni di carcere, scontandone solo
tre, e dell’assenza al processo della controparte italiana: era già iniziato il
politicamente corretto.
Questo libro è l’unico basato sulle fonti d’archivio tedesche integrate con il
racconto dei testimoni greci, tedeschi e italiani. Ci sono voluti 12 anni e in
Germania ha avuto 2 edizioni.
La parte iconografica è per il 90% tedesca ed è inedita in Italia. Vi sono altre
20 piantine per le varie fasi dei combattimenti.
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Minuz Andrea
Collana: Impronte 2010
L’esperienza di smarrimento proposta al visitatore del «Monumento agli ebrei d’Europa assassinati» collocato nel cuore di Berlino, e l’incontro emozionale con la memoria della Shoah raccontata nel «Museo dell’Olocausto» del Washington Mall. Opere controverse come il «Lego Concentration Camp» e poi ancora fumetti, installazioni, web-art e naturalmente il cinema, dalle testimonianze raccolte da Claude Lanzmann in Shoah all’epica di Schindler’s List. Questi sono solo alcuni tra i registri narrativi e i segni controversi che compongono un universo dai confini sempre più incerti. Un serbatoio di immagini e storie in cui la memoria culturale della Shoah si intreccia con l’orizzonte della cultura visuale, per trovare nelle forme dell’esperienza filmica uno dei suoi nodi centrali.
Tuttavia la possibilità di “educare alla memoria” anche attraverso il cinema, come da più parti si sostiene, passa almeno per una doppia capacità; da un lato, quella di riconoscere i codici estetici e produttivi impiegati, e, dall’altro, di interrogarsi su come e perché alcuni frammenti di questo immaginario siano entrati a far parte della nostra memoria, costituendosi come un altro archivio che si affianca alla conservazione dei documenti e delle testimonianze. Quel male assoluto che, secondo la popolare provocazione di Adorno, doveva “vietare” l’arte o quantomeno costringerla a interrogarsi radicalmente sui propri presupposti, è insomma diventato uno degli ultimi grandi racconti rimasti, un’epica negativa che mobilita tutte le forme della nostra cultura. A quali bisogni risponde questo fenomeno? E come tenere distinti, o intrecciare opportunamente, l’archivio, la memoria e l’immaginario?
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Cornice di questo romanzo è Gerusalemme, la città dai mille volti e le mille identità. E in questa città che la protagonista cerca di ricostruire la propria identità ebraica che durante l'infanzia in Germania le è stata dolorosamente tenuta nascosta. Ma una profonda irrequietezza, soprattutto sentimentale, la porta prima ad unirsi a un giovane di un kibbutz, poi a sposare un vecchio amico d'infanzia che si rivelerà in seguito antisemita, infine ad innamorarsi di un uomo molto più giovane di lei, che spacciatosi inizialmente per armeno, poi risulterà essere arabo, lasciando nella protagonista il tremendo sospetto di essere stata inconsapevolmente coinvolta in una rete di progetti terroristici.
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Mucchiutti Eno
Il cantante del lager
Curatore: Coslovich M.
Editore: Nuova Dimensione (collana Memoria) 2010
«I francesi mi invitarono,
assieme a Fellner e il gruppo musicale, nei loro uffici. Mi chiamavano “italiano
piccolo Gigli”. Cantammo e suonammo tutta la sera, ma a un tratto la luce
lampeggiò tre volte. Era il segnale proveniente dall’ingresso che era entrato il
Lager Führer e che bisognava scappare. Sul momento io non capii. Rimasi fermo e
perplesso mentre tutti se la davano a gambe levate. Ricordo ancora che la fisarmonica
pendeva da una sedia, la chitarra a terra, così pure il violino. Quella
esitazione mi fu fatale».
Può la bellezza di una voce o una semplice canzone salvare una vita
umana? È quello che è successo al baritono Eno Mucchiutti, deportato politico
triestino, che ha vissuto undici mesi tra Dachau, Mauthausen, Melk ed Ebensee.
Eno, numero 98748, lavora in condizioni estreme nella cava di Mauthausen,
percorre più e più volte la famigerata Totestiege (“scala della morte”), scava,
ridotto in schiavitù, nelle asfissianti gallerie di Melk. Ma Eno canta. E canta
divinamente. I tedeschi lo vengono a sapere, e questo lo aiuta in diversi
frangenti, vista la risaputa passione da parte delle SS tedesche verso la
musica, specialmente quella italiana. La musica non gli evita le sofferenze, ma
in più di una
circostanza gli salva la vita. La sua voce, una volta liberata, ha permesso a
Mucchiutti di iniziare una carriera di livello
internazionale cantando con Luciano Pavarotti, Placido Domingo, Maria Callas e
moltissimi altri cantanti di fama mondiale nei principali teatri italiani e
internazionali. Questa sua voce vibrante e intensa ci trasmette tutto il
devastante silenzio lasciato da coloro che, da quell’inferno, non fecero mai più
ritorno.
"Il ricordo di Mucchiutti è senza censure, senza filtri morali e senza auto
rappresentazioni. Mucchiuttiracconta e si racconta senza schermi. Generosità,
piccoli egoismi, solidarietà, calcoli: un mondo in tumultoè quello che emerge
dalle sue parole. Una memoria autentica e vera, lontana da ogni
condizionamentoideologico e politico, scevra dal senno di poi che così spesso
orienta e aggiusta tante memorie inquietanti."
(dalla postfazione di Marco Coslovich insegnante, studioso e ricercatore di
storia contemporanea )
"11 mesi di prigionia, 11 mesi di inferno: una vicenda così cruda,
raccapricciante, carica di odio, di disumanità, di orrore non si era ancora
sentita. Eno Mucchiutti deve la vita alla sua forte volontà di sopravvivenza e
anche alla sua arte canora che, stranamente, nella massa informe dei suoi
carnefici, ha trovato degli spiriti sensibili alla magia della musica che lo
hanno salvato."
(Adriana Gigli, Fondazione Archivio Diaristico Nazionale di Arezzo)
Eno Mucchiutti, baritono con una carriera di ben 31 anni che l’ha visto cantare
assieme a Pavarotti, Placido Domingo e Maria Callas nei principali teatri
italiani e internazionali, si considera un sopravvissuto da quando, nel 1945, a
Ebensee, ha vissuto la liberazione per mano dei soldati americani.
Deportato politico nel 1944, è stato infatti internato per 11 mesi a Dachau,
Mauthausen, Melk ed Ebensee, provando le più indicibili sofferenze, vedendo i
suoi compagni morirgli a fianco, salvandosi solo grazie alla sua incredibile
forza di volontà, alla sua giovinezza e alla sua splendida voce. È risaputo
infatti che i nazisti apprezzassero la musica, in particolare l’opera italiana,
e guardassero con un occhio di riguardo (si fa per dire) gli artisti internati.
“Il cantante del lager”, deportato numero 98748, dopo sessant’anni di silenzio,
ci racconta le sue memorie con una lucidità e una chiarezza difficili da
trovare. Ci accompagna dentro ai segreti e alle atrocità del campo di Melk,
ancora poco conosciuto dalla storiografia. La sua voce vibrante e intensa ci
trasmette il silenzio lasciato da tutti coloro che, da quelle lande fredde e
rigide, abitate solo dal dolore e dalla violenza, non fecero mai più ritorno.
Il volume è a cura di Marco Coslovich, insegnante, studioso e ricercatore di
storia contemporanea.
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Pahor Boris
Piazza Oberdan
Nuova Dimensione (collana Frecce) 2010
"Ho immaginato di passeggiare per Trieste, arrivando a piazza Oberdan, luogo dove convergono i ricordi dolorosi del Novecento". Una serie di testimonianze, racconti, aneddoti, memorie e biografie; un indice puntato sulle ingiustizie e sui soprusi, sulla cancellazione della identità e l'annientamento di un popolo; sulle colpe impunite del regime fascista che in nome della nazione italiana perseguitò la comunità slovena mettendone al bando la lingua e devastandone le istituzioni culturali. Episodi poco conosciuti della tormentata storia della Venezia Giulia. L'autore ha aggiunto per l'edizione italiana di Piazza Oberdan alcuni documenti storici che danno testimonianza della capillare organizzazione antifascista slovena. Citando la "Süddeutsche Zeitung" non c'è modo di evitare lo sguardo coraggioso e diretto di Boris Pahor. Il suo nome è stato giustamente accostato a quello di Primo Levi, Imre Kértesz e Robert Antelme.
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Pahor Boris
qui è proibito parlare
Editore: Fazi
Collana: Le strade
Traduttore: Clerici M.
Principale porto dell'impero austro-ungarico, Trieste aveva visto coabitare per secoli culture diverse. Una volta integrata nel regno d'Italia alla fine della prima guerra mondiale, la presa del potere da parte di Mussolini e la presenza sempre più massiccia dei suoi seguaci avevano messo termine a questa intesa, e la città era diventata banco di prova di quello che il fascismo sarebbe stato non solo sul suolo italiano ma anche nel resto d'Europa. Fu qui che, per la prima volta e anticipando scenari futuri, fu messa in atto una campagna di pulizia etnica: tutto quello che era sloveno, lingua, cultura, gli stessi edifici, doveva sparire. È in questo clima, così cupo e oppressivo, che Ema, giovane slovena originaria del Carso, da poco arrivata in città da Milano, si aggira piena di rabbia in una luminosa estate degli anni Trenta. Si lascia alle spalle una storia familiare dolorosa: i suoi sono tutti morti, compresa la sorella Fani che, poco più che adolescente, aveva abbracciato la causa fascista frequentando le camicie nere e diventando l'amante dei vari gerarchi del momento, rinnegando così la sua origine slovena e causando una ferita profonda a Ema che si era sentita tradita e umiliata. A Trieste la ragazza sta ora cercando un lavoro che le permetta di vivere in modo indipendente, ma le difficoltà che trova sul suo cammino e il rancore per un mondo che sente ostile non fanno che accrescere in lei un senso di dolorosa esclusione. Sarà l'incontro con Danilo sul molo del porto a segnare la svolta decisiva nella sua vita. Maturo e determinato, l'uomo guiderà i passi della ragazza nel difficile e pericoloso cammino della resistenza al fascismo e della difesa della cultura slovena, e su quello non meno tortuoso dell'amore. Abbandonandosi a una passione che si fa sempre più viva e legandosi a Danilo in un'intesa profondissima, Ema riuscirà finalmente a liberarsi di ogni paura e a trovare la forza di prendere in mano la propria vita, di darsi senza remore alla lotta per il riscatto del popolo sloveno e di affrontarne con coraggio tutte le conseguenze fino alla prigione.
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pahor boris
necropolis
fazi ed.
Campo di concentramento di Natzweiler-Struhof sui Vosgi: con altri visitatori, una domenica pomeriggio, arriva un uomo che vive questo viaggio in maniera diversa e sconvolgente. E' un ex deportato che a distanza di anni è voluto tornare nei luoghi dove era stato internato. Immediatamente, di fronte alle baracche e al filo spinato trasformati in museo, il flusso la memoria comincia a scorrere e i ricordi riaffiorano con il loro carico di dolore e di rabbia. Ritornano la sofferenza per la fame e il freddo, l'umiliazione per le percosse e gli insulti, la pena profondissima per quanti non ce l'hanno fatta. E come fotogrammi di una pellicola, si snodano vicende intrise di un orrore che in nessun modo si riesce a spiegare ma anche tanti episodi di solidarietà tra prigionieri, di una umanità nonostante tutto mai del tutto sconfitta, di un desiderio di vita che le circostanze così drammatiche non sono riuscite a sconfiggere completamente.
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Palini Anselmo
Testimoni della coscienza. Da Socrate ai nostri giorni
prefazione di Franco Cardini.
AVE (collana Le tessere e il mosaico)
L'opera ha vinto il Premio Capri San Michele 2006 per la sezione Giovani. Cosa lega Socrate a Franz Jägerstädter, umile e anonimo contadino austriaco giustiziato perché rifiutò di prestare servizio militare nell'esercito di Hitler? Cosa hanno in comune Tommaso Moro e gli studenti della 'Rosa Bianca', che pagarono con la vita la ferrea opposizione al regime nazista? Perché Antigone, personaggio tragico nato dal genio di Sofocle, può essere paragonata a San Massimiliano, un obiettore di coscienza nella Roma antica? Che importanza può avere infine Pavel Florenskij, teologo ortodosso che nella prigionia del gulag scoprì la pienezza della prospettiva cattolica?L'Autore ci accompagna in un viaggio coinvolgente attraverso documenti, notizie, pagine di letteratura, alla scoperta di 12 figure esemplari, accomunate dalla fedeltà alle ragioni della coscienza, non negoziabili e più importanti di quelle della sopravvivenza.
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L'occupation italienne
Sud-Est de la France, juin 1940-septembre 1943
Editore: P U De Rennes 2010
A l'issue de la brève guerre franco-italienne, treize communes savoyardes (Séez, Sainte-Foy-Tarentaise, Montvalezan, Bessans, Bramans, Lanslebourg, Lanslevillard, Sollières, Termignon), dauphinoises (Montgenèvre, Ristolas) et azuréennes (Fontan, Menton) furent occupées par les troupes du Regio Esereito à la fin juin 1940 et pratiquement annexées durant trois almées, en vertu de l'application du "Bando Mussolini". En réaction au débarquement allié en Afrique du Nord, la 4e armée occupa onze départements du Sud-Est (Alpes-Maritimes, Basses Alpes, Hautes-Alpes, Isère, Savoie, Haute-Savoie, Var, Drôme en totalité, Bouches-du-Rhône, Vaucluse, Ain en partie) tandis que le Vlle corps d'armée débarquait en Corse, à partir du 11 novembre 1942. Quatre millions de Français furent donc occupés par deux cent mille soldats italiens, mais aussi par des Chemises noires et des policiers de l'OVRA. Celte présence étrangère suscita de multiples incidents, notamment dans les départements savoyards, la région niçoise et en Corse, où les prétentions irrédentistes étaient mal supportées. La répression ne fut pas si légère que l'on eut coutume de l'affirmer (une dizaine d'exécutés, une trentaine de morts sous la torture ou au combat, ouverture de camps de concentration à Sospel, Embrun et Modane, déportation de plusieurs centaines de résistants ou de personnalités jugées hostiles dans les pénitenciers de Ligurie, du Piémont, de l'île d'Elbe ou de Calabre). L'Occupant fut confronté à des questions incontournables en 1943 (la fortification du littoral, le STO, l'émergence des maquis. l'attitude à adopter vis-à-vis d'une importante communauté juive) tout en puisant largement dans les ressources économiques et les dépôts militaires. Au moment de la capitulation transalpine du 8 septembre 1943, quelques affrontements opposèrent les troupes italiennes à leurs anciens alliés à Chambéry, Grenoble, Gap et, surtout, en Corse où elles perdirent plusieurs centaines d'hommes.
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Isacco
Papo
Al tramonto di una civiltà
ed. salomone belfonte & c. livorno 2013
Con il suo libro Isacco Papo intraprende un percorso a ritroso nella memoria
delle passate generazioni e tenta anche di delineare il panorama psicologico
variegato della sua società di origine nella quale fondamentalmente si
riconosce. Le vicissitudini familiari costituiscono il filo conduttore che aiuta
il lettore a comprendere come, nel contesto del crepuscolo di civiltà e culture
europee multietniche plurisecolari, le vicende storiche dell'Impero ottomano
abbiano dato inizio prima a una fase di transizione, in cui coesistono elementi
tradizionali e altri moderni occidentali, e poi al declino irreversibile della
società e della cultura giudeo-spagnole. La Seconda Guerra Mondiale e la Shoah
hanno poi segnato praticamente la fine della società sefardita tradizionale
strutturata nelle sue diverse sedi. L'esperienza personale riguarda in
particolare la colonia sefardita emigrata in Italia negli anni Venti e Trenta,
la ormai mitica scuola ebraica di Via Eupili a Milano, l'impatto delle leggi
razziali, la successiva emigrazione e il ritorno in Spagna. L'autore descrive il
clima di incertezza che regnava tra i rifugiati in un paese prostrato da una
feroce guerra civile e tenta di interpretare il comportamento controverso del
governo di Franco nei riguardi degli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale.
Dopo il suo ritorno definitivo in Italia, Isacco Papo riprende la lunga
peregrinazione materiale e nella memoria, alla ricerca di quanto ancora rimane
del mondo delle generazioni che lo avevavano preceduto. Giunge infine alla
constatazione che della società sefardita sopravvivono solo rari focolai in via
di estinzione ma che invece la cultura giudeo-spagnola è oggetto di un rinnovato
interesse in campi diversi, da parte di studiosi, ricercatori e narratori.
Isacco Papo nasce nel 1926 a Milano in una famiglia sefardita immigrata nel 1923
dalla Turchia.
Allievo della scuola israelitica di Via Eupili, nel 1942 emigra in Spagna, a
Barcellona.
Nel 1946 torna a Milano dove si laurea in Medicina.
Da oltre trent'anni si dedica allo studio della storia e della cultura
sefardita.
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Patricelli Marco
Il volontario
Laterza (collana I Robinson. Letture) 2010
Un intellettuale polacco, ufficiale di cavalleria, Witold Pilecki, fondatore di un esercito clandestino antihitleriano, nel 1940 affronta una missione che appare una follia. Munito di documenti falsi, si lascia arrestare "casualmente" nel corso di una retata della Gestapo a Varsavia e scopre che la realtà dei campi di concentramento è peggiore di qualsiasi orrenda fantasia. Rischia la vita più volte ma non dimentica la sua missione; creare una rete di resistenza e di mutua assistenza all'interno e all'esterno del lager e far filtrare il resoconto di quello che accade. In due anni e mezzo riesce a creare un'organizzazione di circa 2.000 persone infiltrate. Nel 1943 riesce a evadere. Combatte durante l'insurrezione di Varsavia del 1944 e cade prigioniero fino alla fine della guerra. Poi arriva in Italia, scrive un ulteriore rapporto e si offre al generale Anders per una missione nella Polonia sotto tallone sovietico. Nel 1947 i servizi segreti comunisti sono ormai sulle sue tracce: viene arrestato, torturato per mesi. Gli estorceranno una confessione delle presunte colpe solo quando minacceranno di imprigionare la moglie e i figli. Viene giustiziato il 25 maggio 1948. Su di lui e su quello che ha fatto cala il silenzio. Della resistenza ad Auschwitz si arrogherà ogni merito un suo ex compagno di prigionia, nel frattempo divenuto premier del governo polacco e poi presidente della repubblica, Cyrankiewicz. Ancora oggi, i familiari ignorano dove sia sepolto.
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Pezzetti Marcello
Libro della Shoah italiana (Il)
einaudi - Collana: Biblioteca di cultura storica / Saggistica
Più di cento
sopravvissuti raccontano la loro storia, componendo un grande racconto corale
dell'ebraismo italiano. Dal mondo di prima, l'infanzia, la scuola, alle leggi
antiebraiche e alla conseguente catena di umiliazioni. E poi l'occupazione
tedesca, gli arresti, le detenzioni, la deportazione. Complessivamente nel 1943
venne deportato circa un quinto degli ebrei residenti sul territorio italiano:
oltre 9000 persone. Nella quasi totalità dirette ad Auschwitz.
Ma chi erano gli ebrei italiani? All'inizio degli anni Trenta erano circa 45 000
persone; le comunità più consistenti erano quelle di Roma (oltre 11 000),
Milano, Trieste, Torino, Firenze, Venezia e Genova. Comunità, in generale,
fortemente integrate nel tessuto sociale del Paese, a tal punto che dopo la
liberazione solo un'esigua minoranza dei sopravvissuti scelse, a differenza
degli ebrei di altre nazionalità, di vivere altrove.
Un mosaico di testimonianze che ha sui lettori un effetto dirompente proprio
grazie al fittissimo intreccio di ricordi, traumi, sogni, rabbia, smarrimento,
sensi di colpa, e persino speranza, dopo il ritorno alla vita.
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Picciotto Liliana
L'alba ci colse come un tradimento. Gli ebrei nel campo di Fossoli, 1943-1944
Mondadori editore, Milano, 2010.
Fossoli, frazione di Carpi, fu lo scenario «inconsapevole» di una delle pagine più cupe della nostra storia: qui fu attivo, tra il dicembre 1943 e i primi giorni dell'agosto 1944, un campo di concentramento in cui vennero reclusi 2844 ebrei arrestati in tutta l'Italia centro-settentrionale sotto l'occupazione nazista. In quel periodo nel nostro paese giunse al culmine l'offensiva fascista contro gli ebrei che, iniziata con le leggi razziali del 1938, conobbe una brutale accelerazione con la Repubblica sociale. I governanti italiani scelsero infatti di adeguare la propria politica antiebraica a quella dell'alleato-occupante, che aveva già messo in atto autonomamente una serie di retate in diverse città nell'autunno del 1943. Il 30 novembre emanarono dunque un provvedimento che prescriveva l'arresto degli ebrei, cui sarebbe stato confiscato ogni bene, e il loro trasferimento in un unico luogo, individuato nel complesso di Fossoli, in precedenza utilizzato come campo per prigionieri di guerra e destinato anche ad altri internati, come i detenuti politici. Le autorità di Salò e quelle del Terzo Reich definirono una sorta di divisione dei compiti: gli italiani si occuparono dell'arresto e dell'internamento degli ebrei; i tedeschi, che dal marzo 1944 assunsero anche formalmente il comando del campo di concentramento, ne organizzarono la progressiva deportazione verso i lager in Germania e Polonia, attuata con modalità disumane. Liliana Picciotto, studiosa della persecuzione antiebraica, avvalendosi di un ricco apparato di documenti, in parte inediti, fa rivivere questa terribile vicenda attraverso le voci delle vittime, dei carnefici e degli «spettatori». Alle testimonianze angosciate dei prigionieri fanno da contrappunto l'impassibilità burocratica dei funzionari italiani e l'indifferenza interessata dei fornitori di autobus e vettovagliamento, che non si fanno scrupoli nel concludere affari persino in occasione di quello che per la maggior parte dei deportati sarà il viaggio senza ritorno verso le camere a gas. L'alba ci colse come un tradimento, oltre a rendere un omaggio ai deportati di Fossoli, di cui si ricordano tutti i nomi e la sorte, mette in risalto una tragica verità: nella persecuzione degli ebrei italiani le autorità della Repubblica sociale non ebbero il ruolo di riluttanti comprimari, ma quello di consapevoli e zelanti protagonisti.
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Liliana Picciotto
l'alba ci colse come un tradimento
Mondadori editore, Milano, 2010.
Fossoli, frazione di Carpi, fu lo scenario «inconsapevole» di una delle pagine più cupe della nostra storia: qui fu attivo, tra il dicembre 1943 e i primi giorni dell'agosto 1944, un campo di concentramento in cui vennero reclusi 2844 ebrei arrestati in tutta l'Ital ia centro-settentrionale sotto l'occupazione nazista. In quel periodo nel nostro paese giunse al culmine l'offensiva fascista contro gli ebrei che, iniziata con le leggi razziali del 1938, conobbe una brutale accelerazione con la Repubblica sociale. I governanti italiani scelsero infatti di adeguare la propria politica antiebraica a quella dell'alleato-occupante, che aveva già messo in atto autonomamente una serie di retate in diverse città nell'aut unno del 1943. Il 30 novembre emanarono dunque un provvedimento che prescriveva l'arresto degli ebrei, cui sarebbe stato confiscato ogni bene, e il loro trasferimento in un unico luogo, individuato nel complesso di Fossoli, in precedenza utilizzato come campo per prigionieri di guerra e destinato anche ad altri internati, come i detenuti politici. Le autorità di Salò e quelle del Terzo Reich definirono una sorta di divisione dei compiti: gli italiani si occuparono dell'arresto e dell'internamento degli ebrei; i tedeschi, che dal marzo 1944 assunsero anche formalmente il comando del campo di concentramento, ne organizzarono la progressiva deportazione verso i lager in Germania e Polonia, attuata con modalità disumane. Liliana Picciotto, studiosa della persecuzione antiebraica, avvalendosi di un ricco apparato di documenti, in parte inediti, fa rivivere questa terribile vicenda attraverso le voci delle vittime, dei carnefici e degli «spettatori». Alle testimonianze angosciate dei prigionieri fanno da contrappunto l'impassibilità burocratica dei funzionari italiani e l'indifferenza interessata dei fornitori di autobus e vettovagliamento, che non si fanno scrupoli nel concludere affari persino in occasione di quello che per la maggior parte dei deportati sarà il viaggio senza ritorno verso le camere a gas. L'alba ci colse come un tradimento, oltre a rendere un omaggio ai deportati di Fossoli, di cui si ricordano tutti i nomi e la sorte, mette in risalto una tragica verità: nella persecuzione degli ebrei italiani le autorità della Repubblica sociale non ebbero il ruolo di riluttanti comprimari, ma quello di consapevoli e zelanti protagonisti.
Joze Pirjevec
Foibe
einaudi 2009
Il racconto organico e documentato di una
vicenda scabrosa. Un passo avanti nella ricerca della verità su un fatto storico
a lungo strumentalizzato da destra e sinistra.
Il crollo dell'Italia nel settembre 1943 e quello del Terzo Reich nel maggio
1945 ebbero nella Venezia Giulia contraccolpi ben diversi dal resto del Paese.
In questa regione mistilingue, oggetto di contesa dal 1848 da parte delle etnie
conviventi, si verificò un drammatico capovolgimento dei ruoli: i padroni di
lingua italiana, che dopo l'8 settembre avevano collaborato con i tedeschi per
salvare il salvabile, si trovarono fra i vinti. Gli Gli s'ciavi, come erano
detti con spregio gli sloveni e i croati, erano i vincitori. Per di piú
comunisti. In questa situazione colma di tensioni etniche, sociali e ideologiche
si scatenò una violenta resa dei conti con deportazioni ed esecuzioni sommarie
di nemici veri o presunti, molto sbrigativamente sepolti nelle voragini carsiche
dette «foibe». Un'indagine condotta con inedito rigore da J. Pirjevec (a cui si
affiancano G. Bajc, D. Dukovski, G. Franzinetti e N. Troha) negli archivi
italiani, croati, sloveni, statunitensi, britannici e russi. «Il sanguinoso
capitolo delle "foibe", legato alla fine della seconda guerra mondiale, che vide
"regolamenti di conti" dappertutto in Europa dove s'era manifestata una qualche
Resistenza, sarebbe stato da tempo relegato nei libri di storia come una delle
vicende minori di quella mattanza mondiale che pretese cinquanta milioni di vite
umane. Dato però che si colloca in una realtà mistilingue in cui le opposte idee
sulle frontiere "giuste" sono state a lungo in conflitto tra loro, esso è ancor
vivo nella memoria collettiva dell¿area giuliana e ancora sfruttabile a fini
politici interni e internazionali. Sebbene il contenzioso sulle frontiere sia
stato risolto attraverso un lungo e articolato processo diplomatico [...], esso
non si è ancora risolto nelle menti e nei cuori delle popolazioni interessate. È
stato anzi rinfocolato dalla crisi della Jugoslavia negli anni Ottanta e dal suo
successivo sfacelo, con l'emergere dalle sue rovine di nuove realtà statali, la
Repubblica di Slovenia e quella di Croazia soprattutto. Il contemporaneo crollo
del Muro di Berlino e i suoi contraccolpi sulla politica interna italiana, con
la scomparsa dei vecchi partiti e l'emergere di nuovi, provocò nella Penisola
una crisi d'identità e di coesione nazionale, alla quale le forze di destra e
«Il sanguinoso capitolo delle "foibe", legato alla fine della seconda guerra
mondiale, che vide "regolamenti di conti" dappertutto in Europa dove s'era
manifestata una qualche Resistenza, sarebbe stato da tempo relegato nei libri di
storia come una delle vicende minori di quella mattanza mondiale che pretese
cinquanta milioni di vite umane. Dato però che si colloca in una realtà
mistilingue in cui le opposte idee sulle frontiere "giuste" sono state a lungo
in conflitto tra loro, esso è ancor vivo nella memoria collettiva dell¿area
giuliana e ancora sfruttabile a fini politici interni e internazionali. Sebbene
il contenzioso sulle frontiere sia stato risolto attraverso un lungo e
articolato processo diplomatico [...], esso non si è ancora risolto nelle menti
e nei cuori delle popolazioni interessate. È stato anzi rinfocolato dalla crisi
della Jugoslavia negli anni Ottanta e dal suo successivo sfacelo, con l'emergere
dalle sue rovine di nuove realtà statali, la Repubblica di Slovenia e quella di
Croazia soprattutto. Il contemporaneo crollo del Muro di Berlino e i suoi
contraccolpi sulla politica interna italiana, con la scomparsa dei vecchi
partiti e l'emergere di nuovi, provocò nella Penisola una crisi d'identità e di
coesione nazionale, alla quale le forze di destra e e quelle di sinistra
pensarono di rispondere facendo ricorso allo strumento piú ovvio e tradizionale:
quello del nazionalismo.
La vicenda delle "foibe" si prestava perfettamente allo scopo ed è stata
sfruttata appieno. Da problema tipico delle aree piuttosto limitate situate
sulla frontiera orientale, essa divenne a partire dagli anni Novanta una
questione nazionale grazie a un'azione propagandistica d'indubbia abilità ed
efficacia». (Joze Pirjevec)
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Ramadan Tariq
Noi musulmani europei
Edizioni Datanews,
Prima delle
sue tesi, dei suoi libri, della sua attività di intellettuale, è la sua persona
che fa notizia. Tariq Ramadan, attualmente docente di Islamologia a Oxford,
cittadino svizzero, musulmano, è per alcuni pensatore controverso (i suoi
detrattori in Occidente lo accusano di non essere sufficientemente critico con i
fondamentalisti, oltre che di essere discendente del fondatore della Fratellanza
Musulmana), anche se da anni si impegna nel favorire una coscienza islamica
europea, cercando di aiutare gli "europei di ultima generazione", immigrati o
figli di immigrati dall'Africa o dall'Asia, di integrarsi culturalmente e
mentalmente, prima che giuridicamente.
Troppo fresco è ancora il ricordo degli attentati al metrò itannici di fede
musulmana, per ignorare il tema oggetto dell'impegno e della riflessione di
Ramadan. Come diventare veri musulmani europei: questo, in sintesi, cerca di
proporre il pensatore svizzero. Lo fa girando tutto il mondo, scrivendo libri e
articoli, insegnando, collaborando con il Governo inglese su questi temi. Una
selezione di questi articoli e conferenze sono stati tradotti e resi disponibili
al pubblico italiano da Datanews, in un libretto interessante (anche se non
impeccabile nell'edizione) sul tema della costruzione, appunto, di un Islam
europeo. Una realtà possibile, per Ramadan, perché già sperimentata secoli fa,
quando i filosofi e gli scienziati arabi contribuirono, con le loro ricerche,
alla costruzione di un'identità europea. Essere al contempo pienamente cittadini
europei, con ciò che l'appartenenza a questa cultura comporta, e rispettare
fedelmente la propria tradizione islamica: questa è la grande sfida (che è anche
confronto con la modernità) cui gli immigrati, i nuovi cittadini europei, devono
e dovranno dare risposta in futuro, sforzandosi sempre di comprendere i propri
riferimenti e principi religiosi come qualcosa in movimento, modificabile dal
rapporto con il contesto e con le società europee. <>: questa frase può
riassumere la sfida epocale che stanno attraversando milioni di persone in
Europa, spesso in solitudine, in situazioni precarie, in maniera confusa o non
sempre coerente, perfino in maniera drammatica. L'Europa, dice Ramadan, è ormai
casa per molti musulmani, che non torneranno più ai loro Paesi d'origine. E in
una casa ci vuole fiducia reciproca. Certo, i nuovi cittadini avranno il dovere
di conoscere una nuova lingua, di comprendere la memoria e la psicologia
collettiva della società in cui andranno a stabilirsi (o in cui stanno già da
tempo).
Osservare la legge, le libertà fondamentali, istruirsi, studiare la cultura e le
istituzioni del Paese dove si andrà a vivere: tutti passi fondamentali, secondo
Ramadan, per un'integrazione mentale e culturale, che porterà ad un maggiore
senso critico e un più significativo contributo alla società in cui si vive.
Ramadan non si nasconde le difficoltà che sta attraversando per primo il mondo
islamico: scarso confronto interno, antioccidentalismo retorico e inconcludente,
dittature, emarginazione. Tutto questo provoca un'ondata di chiusura culturale e
una sindrome da accerchiamento.
Il pensatore svizzero invita i musulmani europei a riprendere i fili del dialogo
con il mondo occidentale, apprezzandone tutto ciò che di grande e buono è stato
prodotto, per risvegliare una riforma dall'interno, fondata su una nuova
riformulazione dei principi islamici grazie a un confronto con le società
moderne e sviluppate. Solo in questo modo - sostiene Ramandan - i musulmani
potranno arrivare (e apprezzare) il significato del concetto di cittadinanza, di
democrazia e daranno via libera ai diritti della donna. In questo la riflessione
delle musulmane e dei musulmani in Europa e negli Usa può avere interessanti e
significative ricadute anche sui Paesi d'origine, nel mondo arabo e islamico in
genere, contribuendo a un'accelerazione dello sviluppo anche di quei Paesi.
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Ruzzenenti Marino
Shoah. Le colpe degli italiani
Manifestolibri (collana La nuova talpa) 2011
A oltre sessantacinque anni dalla tragedia della Shoah, manca ancora una riflessione esauriente sulle responsabilita' italiane per lo sterminio degli ebrei, sulle colpe del cattolicesimo e del fascismo. 'Shoah le colpe degli italiani' (manifestolibri) di Marino Ruzzenenti da' un contributo a questa indagine analizzando in profondita' due pagine inedite. Innanzitutto indaga sul ruolo che svolse il cattolicesimo italiano, attraverso la figura chiave dell'intellettuale Mario Bendiscioli, nella gestazione delle leggi antisemite del 1938. Documenta poi come i fascisti della repubblica sociale furono protagonisti di primo piano, spesso in competizione con gli stessi tedeschi, nella caccia agli ebrei da avviare allo sterminio. Da questo studio emerge un radicamento tutt'altro che marginale del razzismo in molti settori della societa' italiana, che tante ricostruzioni storiografiche hanno preferito sminuire o lasciare nell'ombra.
Marino Ruzzenenti insegnate, saggista e collaboratore della Fondazione Micheletti, oltre ad essersi occupato di questioni ambientali, ha scritto numerosi volumi e articoli storici sul movimento operaio e la Resistenza nell'Italia del Nord.