|
Storie
di uomini e donne alle Olimpiadi di Berlino (1936)
Sport
e diritti umani.
unità didattica di Laura Fontana,
Responsabile del Progetto Educazione alla Memoria per il Comune di
Rimini
La storia dei Giochi
Olimpici del 1936 è particolarmente interessante per un’unità didattica
legata alla Shoah, adatta anche a situazioni scolastiche in cui il periodo
del nazionalsocialismo non è ancora stato affrontato, poiché il percorso non
prevede come pre-condizione la conoscenza storica di questi eventi da parte
degli studenti. Le Olimpiadi di Berlino hanno, in primo luogo, il vantaggio
di costituire un argomento di forte interesse per la maggior parte dei
giovani, oggi piuttosto coinvolti nelle vicende del mondo dello sport.
Intanto va detto che i Giochi del 1936 rappresentano un evento cruciale
nella storia dello sport, quale esempio concreto di intreccio tra sport e
politica, con tutto quello che ne consegue per una riflessione e un
dibattito collettivo sul significato originario dello sport, sui suoi
valori, le sue regole, ma anche sulle sue contraddizioni e ipocrisie, sul
razzismo che impera in certi ambienti come il calcio, nonché per una
comparazione con altri grandi appuntamenti sportivi. La storia insegna, a
tal proposito, che nemmeno gli eventi più drammatici e violenti, seppur
capaci di scuotere profondamente le coscienze e l’opinione pubblica, hanno
mai fermato il mondo dello sport; basterebbe citare solo due esempi: Monaco
nel 1972 o la dittatura militare argentina del 1976, ma anche accennare alle
attuali, vivacissime polemiche in merito alle Olimpiadi di Pechino del 2008,
cioé all’incompatibilità denunciata da molti fra la politica di un Paese che
non tutela i diritti umani e che da tempo opprime il popolo tibetano e i
principi democratici ai quali dichiara di ispirarsi il Comitato Olimpico
Internazionale.
Ma soprattutto
l’abbinamento di questo tema ad un percorso educativo sul nazismo, consente
di trattare il tema della Shoah in maniera forse meno tradizionale e più
coinvolgente per il giovane studente, poiché viene adottato il punto di
vista non della Grande Storia (l’avvento del nazionalsocialismo), ma, al
contrario, della microstoria, per raccontare i destini individuali di
alcuni uomini e di donne che proprio attraverso lo sport e durante la loro
carriera sportiva hanno saputo compiere delle scelte, assumendosene
responsabilità e conseguenze.
L’unità didattica è in effetti centrata sul racconto delle storie di grandi atleti del mondo dello sport degli anni Trenta, campioni di livello internazionale nella propria disciplina, che furono non solo stelle del firmamento sportivo, ma innanzitutto esseri umani, capaci di compiere delle scelte di responsabilità, di amicizia e di coraggio, in un periodo in cui la massa sembrava invece lasciarsi travolgere dagli eventi e assuefare al Male. Molti di questi atleti erano ebrei. Il successo straordinario delle loro prestazioni sportive a Berlino è stata a lungo misconosciuta e merita di essere portata alla luce, anche per ridimensionare l’immagine diffusa e ben radicata nell’opinione comune secondo la quale gli ebrei vengono identificati unicamente in un popolo di vittime inermi. L’accento troppo spesso posto solo sugli aspetti più tragici della Shoah ha fatto sì che vi fosse ben poca attenzione per gli aspetti vitali e, in un certo senso, più “vincente” del mondo ebraico, quale appunto lo sport.
Dopo aver tracciato per
grandi linee il panorama storico degli anni 1933-1936, il percorso
affronterà in maniera più specifica il rapporto tra sport e nazismo,
confrontando documenti e immagini d’epoca, soprattutto il celebre film di
Leni Riefenstahl, Olympia, al fine di inquadrare le esigenze
politiche legate all’organizzazione dei Giochi e per focalizzare la
situazione degli ebrei tedeschi alle soglie dell’inaugurazione delle gare.
Per il regime nazista lo sport aveva come scopo il rafforzamento della
“razza ariana” e la preparazione della gioventù tedesca, mediante
l’esercizio fisico, alla guerra. Di conseguenza, tutti gli atleti
considerati “non Ariani” vennero pesantemente discriminati e
sistematicamente espulsi, fin dalla primavera 1933, dalle federazioni e
associazioni sportive, nonché dalle competizioni nazionali.
Tuttavia non furono solo
gli ebrei tedeschi a subire le conseguenze di questa politica
discriminatoria, come dimostrano, ad esempio, le storie emblematiche del
pugile Johann Trollmann, detto Rukelie, campione dei pesi medi
e amatissimo dal pubblico, discriminato come zingaro Sinti, privato del
titolo, in seguito sottoposto a sterilizzazione, deportato e ucciso nel
lager di Neuengamme, oppure di tre grandi sportivi considerati perfettamente
Ariani, coccolati dal regime, ma poco inclini all’adulazione e al
saluto nazista: Albert Richter, ciclista famosissimo che venne ucciso
dalla Gestapo quale sospetto traditore del Reich, in realtà per colpa della
sua lunga e manifesta amicizia nei confronti dell’allenatore ebreo Ernst
Berliner, Max Schmeling, pugile di fama mondiale, pure lui
disubbidiente al Führer, in quanto non aderì mai al partito nazista e non
esitò a rischiare la propria vita per salvare alcuni ebrei dalla
deportazione, o ancora Carl Ludwig, detto Lutz Long,
stella dell’atletica tedesca, che passò alla storia per il gesto di grande
lealtà sportiva compiuto alle Olimpiadi di Berlino nei confronti di Jesse
Owens, suo avversario nella gara di salto in alto, nonché simbolo, secondo
la propaganda di regime, della razza negra, giudicata infinitamente
inferiore a quella “ariana”. Anche Lutz Long pagherà cara la sua scelta.
Solo la storia della lunga amicizia durante la seconda guerra mondiale tra
il biondo Carl e il nero Jesse vale un’ora di lezione in classe, perché ci
permette di riflettere sui pregiudizi razziali e sulla potenza dei
sentimenti e dei valori umani anche in situazioni estreme.
A Berlino gareggiarono ebrei di altri Paesi, ottenendo spesso risultati straordinari, così come medaglie d’oro vennero assegnate a diversi atleti afroamericani della squadra statunitense, osannati a Berlino ma emarginati e discriminati in patria, o ancora gli asiatici come il maratoneta coreano Kee Chung Sohn, costretto a gareggiare per il Giappone, Paese oppressore della sua terra, col nome di Kitei Son. Le loro prestazioni nelle gare olimpiche dimostrano quanto il successo nello sport dipenda da qualità individuali come il talento, la tenacia e l’allenamento e non, ovviamente, dalla razza o dalla nazionalità di appartenenza.
Laura Fontana
(Milano, 1965), è Laureata in Lingue e Letterature Straniere Moderne
all’Università degli Studi di Bologna, con abilitazione all’insegnamento
della Lingua e Letteratura Francese. Dopo aver vissuto alcuni anni in
Francia, dal 1990 vive e lavora a Rimini, alle dipendenze
dell’Amministrazione Comunale, con il ruolo di Coordinatrice delle Attività
Teatrali e di Responsabile dei Progetti di Educazione alla Memoria.
Oltre a occuparsi della
formazione degli studenti, cura e realizza ogni anno corsi di aggiornamento
e dispense didattiche per le scuole e per gli insegnanti, anche per altri
Comuni e altre Istituzioni, su vari argomenti legati alla storia e alla
memoria della Shoah. Ha collaborato alla realizzazione di un seminario per
docenti italiani in collaborazione con Yad Vashem, Israele (gennaio 2007).
Ha guidato numerosi gruppi di
alunni e di insegnanti nei diversi viaggi studio ai luoghi della memoria
promossi dal Comune, sia in Italia (Carpi,Fossoli, Risiera di San Sabba,
ghetti ebraici di Venezia e Trieste) che all’estero (Mauthausen, Gusen,
Ebensee, Hartheim, Auschwitz, Sachsenhausen, ecc.).
Molteplici sono le
collaborazioni nel realizzare attività ed eventi di divulgazione e di
riflessione sul tema della memoria (realizzazione del convegno I nemici
sono gli altri, Teatro Novelli di Rimini febbraio 1999, dove ha
presentato una ricerca sulla deportazione dei bambini e per il quale ha
curato la pubblicazione degli atti per
Ha pubblicato Più di
un mare di parole (con Giorgio Giovagnoli, Comune di Rimini,
Attualmente sta facendo ricerca sul destino degli atleti ebrei durante il Terzo Reich, con particolare riferimento alle Olimpiadi di Berlino.
Le Olimpiadi di Berlino
del 1936- evento cruciale nella storia dello sport - ci permettono di
rievocare la grande macchina propagandistica messa in funzione dal regime
nazionalsocialista: esaltazione della forza fisica tedesca, dell’amor
patrio, comunicazione al mondo intero che
I nazisti mettono in
atto un piano radicale per trasformare un’occasione sportiva in un
gigantesco spettacolo di massa per impressionare gli altri Paesi, ma
soprattutto in uno strumento di battaglia ideologica.
Se vogliamo indagare
l’atmosfera di quei giorni, abbiamo a disposizione una grande quantità di
immagini e soprattutto il celebre film di Leni Riefenstahl, Olympia,
(disponibile anche presso
-gigantismo
architettonico delle strutture sportive che si richiamano al classicismo
dell’antica Grecia, suggerendo allo spettatore l’identificazione con
-manifestazioni sportive
che sembrano parate militari;
-abbinamento della
bandiera nazista con la svastica alla bandiera olimpica (commistione sport e
politica);
-propaganda
dell’immagine ideale dell’atleta tedesco, che deve corrispondere
perfettamente all’ideale ariano: biondo, alto, prestante, carnagione chiara
e occhi azzurri (sia per i maschi che per le femmine).
Ci si potrebbe
interrogare sulla cecità dell’opinione pubblica internazionale che prima
protesta, qua e là sull’opportunità di confermare
Tutto questo non potrà
che far emergere con forza il contrasto tra propaganda e l’altra immagine
della Germania di Hitler: la feroce repressione del dissenso e il radicale
antisemitismo che sembra solo allentarsi durante i Giochi Olimpici per non
attirare l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale (ad esempio
verranno rimossi tutti i cartelli “Juden raus”).
Non si possono ignorare
gli episodi di grave discriminazione e persecuzione che si verificano
proprio parallelamente alla preparazione delle Olimpiadi (o che erano già
avvenuti, quali ad esempio le Leggi di Norimberga del 1935 con le sue gravi
conseguenze per l’isolamento degli ebrei tedeschi, non più considerati
cittadini, ma sudditi non ariani):
-
l’arresto e la detenzione di 800 zingari nella regione di Berlino
che vengono rinchiusi nel campo di Marzahn per sottrarli alla vista degli
stranieri; altri 170 zingari vengono deportati a Dachau presso Monaco di
Baviera.
-
la creazione dell’immenso campo di concentramento di Sachsenhausen,
che si aggiunge ai campi precedentemente istituiti nel Reich per tutti gli
oppositori e i nemici.
E’ anche importante
sottolineare come le Olimpiadi, gara sportiva internazionale per eccellenza,
coincide con la discriminazione degli atleti ebrei tedeschi, espulsi da
tutte le discipline sportive e non ammessi a gareggiare per
Il
destino degli atleti ebrei, fortemente
discriminati per motivi razziali, sembra avere diversi punti in comune con
la sorte degli atleti afroamericani, i quali, tuttavia, sebbene ammessi a
partecipare nella squadra statunitense per ragioni di opportunità di gara
(in misura di 18 su 312 atleti), subiscono in patria pesantissime
discriminazioni (es. autobus separati per bianchi e neri, scuole divise,
ecc.)
La storia di Jesse
Owens, pluricampione alle Olimpiadi di Berlino,è emblematica. Ancora
oggi si ricorda che Hitler, indignato per aver visto infranto il sogno
dell’invincibilità tedesca, si rifiutò di stringere la mano al campione
africano (anche se in realtà la vicenda è poi stata ricostruita in maniera
un po’ diversa anche dallo stesso Owens), mentre nessuno ricorda che il
Presidente americano Roosevelt non volle ricevere e onorare pubblicamente
l’atleta, una volta rientrato in patria con le 4 medaglie d’oro.
La storia dei Giochi
Olimpici del 1936 è particolarmente interessante, sia come esempio concreto
di intreccio tra sport e politica, sia perché ci permette di raccontare la
dimensione umana della grande storia del Terzo Reich, cioè la storia di
uomini e donne che seppero comportarsi come degli esseri umani prima che
come atleti.
Si tratta di sportivi e sportive, sia ariani che ebrei che furono capaci di
compiere delle scelte di responsabilità, di solidarietà, di capacità
critica, in un periodo in cui la massa sembrava invece lasciarsi travolgere
dagli eventi.
Citiamo solo alcuni
esempi che verranno presentati e discussi nel corso della
lezione-laboratorio:
1)
il tedesco
Carl Ludwig, detto
Lutz Long che ebbe un gesto di
grande lealtà sportiva nei confronti del suo avversario di gara, l’atleta
afroamericano Jesse Owens, con il quale stringerà una forte amicizia
nonostante il nazismo predicasse in Germania un disprezzo totale per i neri,
considerati di razza inferiore;
2) Albert
Richter, grande ciclista tedesco che rifiutò di adeguarsi al modello
nazista e rimase solidale al suo allenatore Ernst Berliner, discriminato e
perseguitato in quanto ebreo,
3) Max Schmeling, pugile, un altro Tedesco Ariano disubbidiente al Führer che non esiterà a rischiare la propria vita per salvare degli ebrei dalla deportazione, oltre ad aiutare economicamente l’afroamericano Joe Louis che solo pochi anni prima era stato suo avversario sul ring.
e altre storie, ancora, purtroppo sconosciute.
Dobbiamo anche conoscere la storia dei tanti atleti ebrei provenienti da
paesi diversi, che furono grandi campioni nello sport e alle Olimpiadi
berlinesi, ma che poi subirono la deportazione nei lager e furono travolti
dalla Shoah, quando il loro paese venne occupato dai nazisti.
Tanti altri sportivi tedeschi di origini ebraiche, grandi campioni nelle loro discipline, furono invece discriminati per motivi razziali, in quanto considerati non ariani e pertanto espulsi da tutte le associazioni e squadre sportive e non ammessi a gareggiare alle Olimpiadi del 1936.
Oggi,
“L’accesso
agli impianti o alle attività sportive sarà garantito senza alcuna
distinzione di sesso, razza, colore, lingua, religione, opinioni politiche o
qualsiasi altra opinione, origine nazionale o sociale, appartenenza ad una
minoranza nazionale, ricchezza, nascita o qualsiasi altro status.”
Perché lo sport è prima di tutto rispetto per se stessi e per gli altri, è capacità di riconoscere i propri limiti e imparare a superarli con il lavoro e l'impegno, è incontro e relazione con gli altri al di là di qualsiasi differenza o discriminazione. E' amicizia e solidarietà.
Spunti bibliografici:
in italiano Storia culturale
dello sport, Richard D.Mandell, Laterza 1989
il sito (in inglese) del Museo
dell’Olocausto di Washington www.ushmm.org
che contiene una mostra multimediale e spunti didattici
il sito ufficiale delle Olimpiadi,
www.olimpiadi.it
e www.olympic.org
ancora in inglese
www.jewishvirtuallibrary.org/jsource/Holocaust/olympics.html