Flags of Our Fathers
TITOLO ORIGINALE |
Idem |
REGIA |
Clint Eastwood |
SOGGETTO |
Dal libro omonimo di James Bradley e Ron Powers |
SCENEGGIATURA |
William Broyles jr., Paul Haggis |
FOTOGRAFIA |
Tom Stern (colore) |
MUSICA |
Clint Eastwood |
MONTAGGIO |
Joel Cox |
INTERPRETI |
Ryan Philippe, Jesse Bradford, Adam Beach, Joun Benjamin Hickey, John Slattery, Barry Pepper, Jamie Bell |
PRODUZIONE |
Clint Eastwood, Robert Lorenz, Steven Spielberg per Malpaso Production/Amblin Entertainment/Dream Works SKG/Warner Bros. Pictures |
DURATA |
132’ |
ORIGINE |
Stati Uniti, 2006 |
REPERIBILITA' |
Homevideo/Cineteca Pacioli |
INDICAZIONE |
Classe quinta |
PERCORSI |
Seconda guerra mondiale Novecento/Cinema e Storia
Mettete dei fiori nei vostri cannoni Antimilitarismo e pacifismo/Uomo e società |
James Bradley, figlio di uno dei tre soldati sopravvissuti alla battaglia di Iwo Jima fra coloro che innalzarono la bandiera statunitense sul monte Suribachi nella famosa foto-simbolo della guerra del Pacifico, alla morte del padre decide di raccogliere testimonianze fra coloro che furono coinvolti in quell’evento. Scoprirà che dietro la retorica ufficiale si nasconde una realtà di fallimenti e disillusioni.
Flag of Our Fathers è innanzitutto una denuncia dell’ipocrisia che ha sorretto e nutrito l’intera operazione dell’immagine-icona scattata il 25 febbraio 1945 nell’isola di Iwo Jima dal fotoreporter Joe Rosenthal, premiato con il Pulitzer. Inscenata due volte (e questo demistifica la supposta spontaneità del gesto), essa verrà sfruttata per spingere i cittadini americani ad investire i loro dollari nella raccolta dei Buoni di Guerra, indispensabili per permettere la continuazione di un conflitto dispendiosissimo.
Il film diventa così un’amara rievocazione di un’operazione mediatica senza scrupoli, che usa gli strumenti della spettacolarizzazione più dozzinale e baracconesca per alimentare i sentimenti patriottici dei cittadini. Retorica nazionalista e grossolana falsificazione si mescolano in una cinica strumentalizzazione delle sofferenze e dei traumi di giovani soldati che non hanno nulla di eroico (e ci sarebbe di che riflettere su quanto ha preceduto e accompagnato l’invasione statunitense all’Iraq nel 2003, anch’essa giustificata da una serie di bugie e falsificazioni).
Infine il film si proietta sul dopoguerra, allorché le promesse fatte durante la chiassosa messinscena del 1945 non furono mantenute e molte delle aspettative dei reduci protagonisti andarono deluse. Particolarmente emblematica la figura del pellerossa Haynes, che vittima del razzismo diffuso nella società, finirà la sua esistenza morendo da vagabondo emarginato.
Se l’assunto ideologico e morale del film risulta di facile lettura, la sua struttura si presenta complessa e disarticolata proponendo l’intreccio tra tre piani narrativi: il presente e il passato, a sua volta suddiviso in due parti (il fronte interno e il fronte bellico nel Pacifico). I passaggi tra un piano temporale e l’altro sono improvvisi e spiazzanti, quasi a suggerire l’idea di una verità non a portata di mano, ma frutto della ricomposizione di un mosaico dalla complicata ricostruzione. Non è facile, insomma, sembra dirci il regista attraverso il suo tormentato percorso narrativo, scrostare la patina di mistificazione che si è depositata con gli anni su di un’immagine trionfale simbolo di vittoria e penetrare nello strato di dolore che si è accumulato nella memoria dei protagonisti.
Ma oltre all’efficace crescendo con cui Eastwood esprime il suo sdegnato atto d’accusa contro la macchina della propaganda bellica, il film si arricchisce della grande sensibilità con cui il regista riesce a penetrare nella dimensione umana e psicologica dei personaggi raccontandoci il loro dramma esistenziale con commovente partecipazione.
Storia A) La Seconda Guerra Mondiale
B) La guerra nel Pacifico e la battaglia di Iwo Jima
C) La propaganda di guerra e il fronte interno
D) I pellerossa d’America