TITOLO ORIGINALE | Mask |
REGIA | Peter Bogdanovich |
SOGGETTO | Dalla storia autentica di Rocky Dennis |
SCENEGGIATURA | Anna Hamilton Phelan |
FOTOGRAFIA | Laszlo Kovacs (colori) |
MUSICA | A.A. V.V. |
MONTAGGIO | Eva Gardos, Barbara Ford |
INTERPRETI | Cher, Eric Stoltz |
PRODUZIONE | Martin Starger |
DURATA | 116' |
ORIGINE | USA, 1985 |
REPERIBILITA' | Homevideo/Cineteca Pacioli |
INDICAZIONE | Biennio-Triennio |
PERCORSI | Dietro la maschera Handicap/Diversità/Uomo e Società |
Il vero dramma di Rocky non è tanto costituito dall'atteggiamento di ribrezzo e scherno che i normali gli riservano, anche perché esso dura poco, lasciando presto il posto a sentimenti di sincera stima e ammirazione (egli stesso ormai è abituato a questo traumatico approccio iniziale e riesce addirittura a scherzarci), ma nella difficoltà ad avere un'esistenza veramente normale al di fuori dell'ambito protettivo della sua famiglia adottiva, formata dalla variopinta umanità della banda degli Hell's Angels e della stessa scuola, dove la sua bravura lo salvaguarda da ogni offesa.
E' soprattutto sul piano del bisogno di avere rapporti sentimentali e sessuali come tutti gli altri suoi coetanei che la sua anormalità diventa un problema reale, determinando una non-accettazione del proprio aspetto (vorrebbe fare al più presto una plastica).
Non solo Rocky, ma anche la madre è schiacciata da questa tragica contraddizione tra l'assoluta normalità interiore del figlio e la sua incancellabile anormalità esteriore (che tende a rimuovere o a risolvere con scorciatoie, come quando gli procura una prostituta) e spesso soccombe al senso d'impotenza che ne deriva rifugiandosi nella droga.
VALUTAZIONE CRITICA Bogdanovich riesce ad affrontare un argomento insidioso (il rischio in questi casi è quello del facile pietismo e patetismo) con sufficiente distacco emotivo, evitando così l'effetto-melassa. Per quanto il coinvolgimento e la commozione siano inevitabili, il film lavora con efficacia sulle psicologie, rinunciando ad ogni semplificazione consolatoria. Così Rocky è certamente simpatico e straordinario per la sua grande umanità, ma sa essere anche iracondo e severo (pensiamo alla sfuriata nei confronti dell'amico che lo abbandona e alle liti con la madre), Rusty poi è assai lontana dalle tante mamme-sante cui il Cinema ci ha abituato in queste circostanze.
Esemplare di questo procedimento di raffreddamento sono il trattamento cui il regista sottopone la storia d'amore con la cieca Diana (priva di smancerie pseudoromantiche) e la sequenza della morte di Rocky, risolta con grande sobrietà, lontano da una facile enfasi strappalacrime.