Caterina va in città
TITOLO ORIGINALE | Idem |
REGIA | Paolo Virzì |
SOGGETTO E SCENEGGIATURA |
Paolo Virzì, Francesco Bruni |
FOTOGRAFIA |
Arnaldo Catinari (colori) |
MUSICA |
Carlo Virzì |
MONTAGGIO |
Cecilia Zanuso |
INTERPRETI |
Alice Teghil, Sergio Castellitto, Margherita Buy, Claudio Amendola, Flavio Bucci, Galatea Ranzi |
PRODUZIONE |
Cattleya/RaiCinema |
DURATA |
90’ |
ORIGINE |
Italia, 2003 |
REPERIBILITA' |
Homevideo/Cineteca Pacioli |
INDICAZIONE |
Triennio |
PERCORSI |
Genitori e figli Momenti di gioventù/La condizione adolescenziale e giovanile/Individuo e Società |
TRAMA
La tredicenne Caterina Iacovoni arriva a Roma da Montalto di Castro con la famiglia. Nella nuova classe non si trova a suo agio con le compagne, che la prendono in giro perché viene dalla provincia; il padre, un arrivista frustrato e arruffone, la mette ripetutamente in imbarazzo, la madre, una casalinga timida e impacciata, subisce la nevrosi del marito e viene corteggiata da un vicino di casa. La sua più grande aspirazione è poter essere ammessa all’Accademia di S. Cecilia.
Il film di Virzì è stato definito come una commedia sulla stupidità dell’Italia di oggi. Traendo spunto dalle esperienze di vita metropolitana di Caterina sullo schermo si delinea una galleria di personaggi moralmente discutibili, che poi sono quelli che secondo il regista popolano le nostre città, le scuole, il Parlamento, ecc…Un abisso di cialtroneria, incoerenza, paraculismo, superficialità nel quale sembrano annullarsi le differenze ideologiche tra destra e sinistra, tra ricchi e poveri, tra intellettuali e gente qualunque, tutti omologati in un generale squallore esistenziale amministrato e gestito dalla televisione.
Il padre di Caterina, insegnante frustrato e scrittore fallito, cerca una qualche forma di riscatto sociale imponendo alla figlia la frequentazione di ambienti della Roma bene e alla fine regredisce in un’ irrecuperabile giovinezza con una fuga in moto, la madre vive una situazione di catatonica sottomissione dalla quale emerge con nevrotiche scene di isteria, senza avere nemmeno il coraggio di intrecciare una nuova relazione.
Si salvano da questo baratro generale e generazionale (gli adulti sono cinquantenni, che probabilmente hanno fatto il Sessantotto) l’innocente Caterina (così diversa dalle sue insopportabili e viziate compagne di scuola), il vicino di casa americano che la spia dalla finestra, il timido rampollo della famiglia monarchica, assillato da una madre oppressiva, e la provincia, vista come spazio ancora incontaminato dalla volgarità dilagante.
Ma è proprio così brutta l’Italia contemporanea che Virzì ci mostra nel suo film? E’ questa la domanda che ha dominato le discussioni e le polemiche all’indomani dell’uscita nelle sale.
Per alcuni il regista si è un po’ fatto prendere la mano dalla tradizione macchiettistica della commedia all’italiana (di cui è sicuramente uno dei migliori continuatori) creando delle caricature che esagerano a dismisura difetti nazionali pur indiscutibili (questo è stato notato particolarmente per quel che riguarda il tratteggio del padre di Caterina) per forzare in direzione della tesi di un avvenuto appiattimento verso il basso dello spirito nazionale.
Per altri, invece, il film ha volutamente creato personaggi sopra le righe per mettere in guardia lo spettatore su ciò in cui si sta trasformando, come se dal massimo del disgusto possa derivare una qualche reazione morale.
E la provincia ingenua e genuina che viene contrapposta alla città corrotta non appartiene forse ad un luogo comune ormai superato proprio da quell’omologazione che viene condannata e che certamente non rimane limitata (soprattutto a causa dell’invasività-invadenza televisiva ) all’ambiente metropolitano?
Comunque la si voglia vedere è indubbio che Virzì, pur con evidenti difetti di calibratura dei personaggi e ridondanze di sceneggiatura, è uno dei pochi registi che cercano di rimanere fedeli ai modi e ai temi della commedia all’Italia, cercando di inseguire il paese nei suoi cambiamenti antropologici, riuscendo sempre a cogliere almeno qualche sprazzo di amara verità.