La banda Baader Meinhof
TITOLO ORIGINALE |
Der Baader Meinhof Komplex |
REGIA |
Uli Edel |
SOGGETTO |
Dall’omonimo libro di Stefan Aust |
SCENEGGIATURA |
Uli Edel, Bernd Eichinger |
FOTOGRAFIA |
Rainer Klausmann (colori) |
MONTAGGIO |
Alexander Berner |
MUSICA |
Peter Hinderthur, Florian Tesalo |
INTERPRETI |
Martina Gedeck, Moritz Bleibtreu, Johanna Wokalek, Bruno Ganz |
PRODUZIONE |
Constantin Film Produktion, Nouvelles Editions De Films, G. T. Film Production |
DURATA |
150’ |
ORIGINE |
Germania-Francia-Repubblica Ceca, 2008 |
REPERIBILITA' |
Homevideo-Cineteca Pacioli |
INDICAZIONE |
Classe quinta |
PERCORSI |
Terrorismo-Lotta armata Novecento/Cinema e Storia |
Germania federale, anni Settanta. Nel pieno delle proteste studentesche contro la guerra del Vietnam e in favore dei movimenti di guerriglia nel Terzo Mondo, alcuni giovani intellettuali tedeschi radicalizzano la loro posizione optando per la lotta armata contro lo Stato.
Il film rievoca le gesta dell’organizzazione armata che ha terrorizzato la Germania per circa dieci anni con una sostanziale sospensione di ogni giudizio preoccupandosi quasi esclusivamente di esporre i fatti in modo il più possibile obiettivo, perché possa essere lo spettatore a formarsi un’opinione. Questo non esime, però, gli sceneggiatori di sposare la tesi del libro da cui la pellicola è tratta e cioè quella del suicidio in carcere dei membri originari della banda, distrutti dall’isolamento carcerario e dal fallimento dell’azione messa in atto dai loro compagni all’esterno per ottenerne la liberazione (a questo proposito va ricordato che all’epoca dei fatti sorsero parecchie perplessità riguardo la versione ufficiale del suicidio e più di un osservatore insinuò l’ipotesi di un assassinio compiuto per vendetta dalle guardie carcerarie).
Non c’è indulgenza e comprensione nel film nei riguardi della scelta eversiva e violenta del protagonista e nemmeno si ingenera l’equivoco della fascinazione di eroi romantici appartenenti ad una generazione perduta. L’inferno della segregazione carceraria, anzi, sottolinea con efficacia l’inevitabilità dell’epilogo di sconfitta cui il gruppo si condanna sin dall’inizio.
Se la figura di Andreas Baader ci è mostrata da subito nel suo delirio narcisistico che lo trasforma in un leader spietato e crudele, il personaggio di Ulrich Meinhof viene delineato con maggior attenzione per quello che si suppone un travagliato percorso, che partendo da posizioni di radicalismo democratico (l’opposizione alla visita dello Scià in Germania) approda ad un confuso e velleitario rivoluzionarismo anarchico.
Il film cerca di mescolare il registro del genere d’azione tipo thriller gangsteristico (con la collaudata parabola della banda destinata alla cattura dopo un’escalation di imprese criminali) con la ricostruzione di un itinerario politico ed ideologico a forte caratterizzazione generazionale (siamo a cavallo degli anni Sessanta-Settanta, di un periodo cioè di marcata soggettività e di appassionato impegno politico a livello giovanile) e con una precisa contestualizzazione storico-sociale che utilizza gli strumenti tipici del documentarismo ( in particolare i telegiornali dell’epoca). Questo fitto intreccio non sempre trova un suo equilibrio e forse prevale un eccesso di sequenze collegate alle azioni di guerriglia urbana scandite sul ritmo frenetico e concitato cui ci ha abituato l’action-movie americano (di cui il film è indiscutibilmente tributario). Una più accurata riflessione sulle motivazioni ideali e politiche che hanno indotto dei giovani appartenenti alla buona borghesia tedesca ad una così brutale rottura con le proprie origini avrebbe certamente giovato ed avrebbe attenuato quell’impressione di frettolosa superficialità che il film denuncia in più di un passaggio.
Storia a) La Germania negli anni Sessanta
b) La guerra del Vietnam e il conflitto arabo-israeliano
c) Il terrorismo in Germania e nel mondo negli anni Settanta e oggi