L’uomo che verrà
TITOLO ORIGINALE |
Idem |
REGIA |
Giorgio Diritti |
SOGGETTO |
Giorgio Diritti |
SCENEGGIATURA |
Giorgio Diritti, Giovanni Galavotti, Tania Pedroni |
FOTOGRAFIA |
Roberto Cimatti (colori) |
MONTAGGIO |
Giorgio Diritti, Paolo Marzoni |
MUSICA |
Marco Biscarini, Daniele Furlati |
INTERPRETI |
Alba Rohrwacher, Maya Sansa, Claudio Casadio, Greta Zuccheri Montanari |
PRODUZIONE |
Simone Bachini, Giorgio Diritti per Aranciafilm/Rai Cinema |
DURATA |
117’ |
ORIGINE |
Italia, 2010 |
REPERIBILITA' |
Homevideo-Cineteca Pacioli |
INDICAZIONE |
Biennio-Triennio |
PERCORSI |
Italia in guerra Novecento/Cinema e Storia |
TRAMA
Tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944, nella zona di Monte Sole, sull’Appennino bolognese, i nazisti trucidarono 770 civili, con lo scopo di fare terra bruciata attorno alle formazioni partigiane che operavano in quel territorio. Una bambina, che non parla da quando è morto il suo fratellino in fasce, è testimone di quanto accade.
Un microcosmo contadino che riproduce un secolare stile di vita profondamente collegato con i tempi del lavoro agricolo e con i ritmi delle stagioni e della natura viene ad essere sconvolto dalla guerra e dalla sua ferocia. La continuità della vita comunitaria con il suo ritualismo religioso, le sue usanze secolari, la sua rete di relazioni interpersonali, la sua lingua specifica, la sua rassicurante immobilità entra in rotta di collisione con la dinamica della storia e la sua distruttività. Sul tessuto di una solida identità culturale e morale si incide una ferita devastante e indelebile. L’uomo che verrà è un film sulla guerra vista dal punto di vista di chi la subisce, perché la tragica specificità dei conflitti moderni consiste proprio in questo coinvolgimento della popolazione civile.
La figura della bambina Martina rappresenta l’infanzia negata di chi ha vissuto in quegli anni drammatici e il fatto che quasi tutta la narrazione sia filtrata attraverso i suoi occhi costituisce una scelta precisa. Quella di accentuare ancor più la dimensione di assurdità di ciò che accade, proprio perché l’estraneità al male di una bambina amplifica ancor più l’insensatezza della tragedia che si consuma sotto i nostri occhi.
Ma Martina è anche il simbolo della speranza che rinasce, perché è lei che salva il fratellino, riacquistando alla fine la parola persa e confermandoci nella certezza di una continuità destinata a riprodursi nel futuro, nonostante e contro la malvagità che è negli uomini e nella storia che essi impongono agli umili.
La scelta del regista è certamente coraggiosa e contro corrente: proporre la rievocazione storica senza l’apporto (anche se solo parzialmente) di attori professionisti (e famosi) e rinunciando al ricorso ad un impianto narrativo tradizionale, basato sulla netta contrapposizione tra una dimensione eroica (i partigiani) e una dimensione demoniaca (l’occupante tedesco) con la popolazione civile relegata sullo sfondo in un ruolo di supporto, costituisce una novità in un periodo nel quale la medierà televisiva impone un’idea di fiction incentrata sulla superficialità e la banalizzazione. Altrettanto audace risulta, poi, la scelta di adottare il dialetto come lingua dominante, arricchendo la pellicola di una fondamentale componente realistica, che forse ne costituisce la ricchezza maggiore.
Il registro corale e l’esplorazione antropologica prevalgono, facendo sì che la vera protagonista della vicenda (aldilà dello sguardo privilegiato di cui è portatore il personaggio di Martina) sia un’intera comunità contadina ritratta non certo in modo apologetico e nostalgico (del tipo: com’era bello il mondo contadino di una volta!), ma con estrema verosimiglianza accompagnata da un grande rispetto per il patrimonio umano e morale di cui essa era portatrice.
Storia a) La Seconda Guerra Mondiale
b) La Resistenza in Italia
c) Le stragi naziste in Italia
Geografia L’Appennino bolognese