Free cinema

Atto di nascita di questa scuola è considerato il manifesto redatto nel 1956 da due registi inglesi, L. Anderson e K. Reisz, nel quale si rivendicava la necessità che il Cinema assumesse parte attiva all'interno di un processo di cambiamento e rinnovamento morale e culturale teso a smascherare e condannare le miserie e le ipocrisie di una società britannica incrostata di perbenismo e puritanesimo e tenacemente aggrappata alla memoria di una grandezza imperiale ormai finita.

Siamo agli inizi degli anni sessanta e con il Free cinema la macchina da presa esce dagli studi e si immerge nella realtà e nella gente, cogliendo i segnali di inquietudine e disperazione che affiorano negli squallidi quartieri proletari della periferia, la solitudine dell'emarginazione, i piccoli fallimenti quotidiani, la fatica del tirare avanti, la desolante monotonia di aride e nevrotiche esistenze piccolo-borghesi, ma anche il coraggio dell'anticonformismo e della trasgressione, la capacità di sognare e di sperare, la voglia di amare e di essere amati. E' sì un Cinema di invenzione, ma che mette a frutto la solida esperienza accumulata da molti registi nel documentarismo sociale.

Il Free cinema fa entrare aria fresca in una cinematografia britannica esangue ed accademica, fa sentire al pubblico la rabbia e l'irrequietezza delle giovani generazioni, la loro insofferenza per i modelli del passato, anticipa in certa misura la contestazione del '68.

A differenza della Nouvelle Vague francese, cui per alcuni aspetti si accomuna, il Free cinema è eversivo solo sul piano dei contenuti, non della forma, non si misura sul terreno della rivoluzione e della riflessione linguistica e per questo, rimanendo sostanzialmente fedele al linguaggio tradizionale, è capito da un pubblico più vasto.

Tale è il successo internazionale dei film di questa corrente, che molti registi che in essa si riconoscono, sono reclutati alla fine degli anni sessanta a Hollywood, dove, forse perché lontani dal clima da cui era scaturito il Free cinema, finiscono per perdere l'ispirazione.

Tra i rappresentanti più autorevoli della scuola citiamo T. Richardson (Sapore di miele, 1961, Gioventù, amore e rabbia, 1962), L. Anderson (Io sono un campione, 1963), J. Schlesinger (Billy il bugiardo, 1963), K. Reisz (Sabato sera, domenica mattina, 1961).