L’uomo di ferro

TITOLO ORIGINALE

Czelowiek z zelaza

REGIA

Andrzej Wajda

SOGGETTO

Aleksander Scibor Rylski

SCENEGGIATURA

Aleksander Scibor Rylski, Andrzej Wajda

FOTOGRAFIA

Edward Klosinski (colori)

MUSICA

Andrzej Korzynski

MONTAGGIO

Halina Prugar

INTERPRETI

Marian Opania, Jerzy Radziwilowicz, Krystyna Janda

PRODUZIONE

Ensemble X

DURATA

150’

ORIGINE

Polonia, 1981

REPERIBILITA'

Homevideo/Cineteca Pacioli

INDICAZIONE

Classe quinta

PERCORSI

Comunismo, Stalinismo, Socialismo reale

Novecento/Cinema e Storia

 

TRAMA

L’uomo di ferro è la continuazione di L’uomo di marmo. Cinque anni sono trascorsi dalle vicende narrate nel primo film e ora ci troviamo nell’estate del 1980. La Polonia è sconvolta dal grande sciopero dei cantieri navali di Danzica, dove il sindacato Solidarnosc, guidato da Lech Walesa, rivendica aumenti salariali e, soprattutto, più libertà e democrazia. Un giornalista della radio, Winkiel, viene incaricato di realizzare un servizio sull’agitazione nella città baltica, ma in realtà egli dovrebbe mettere in cattiva luce Maciek, uno degli organizzatori dello sciopero e figlio dell’operaio stakanovista Mateusz Birkut, su cui anni prima aveva indagato la regista Agnieszka. Winkiel scopre che Maciek è uno dei dirigenti di Solidarnosc e che suo padre Mateusz è morto nei moti operai del 1970, ucciso dalla polizia. Ritrova anche Agnieszka, finita in carcere per avere sostenuto Maciek, che nel frattempo è diventato suo marito. Sempre più coinvolto dalla storia di Maciek e di suo padre, Winkiel finisce per simpatizzare per gli scioperanti, rifiutandosi di svolgere il suo ruolo di spia.Quando alla fine Solidarnosc vince la resistenza del governo costringendolo a riconoscere le sue richieste, anch’egli partecipa con entusiasmo al trionfo degli operai di Danzica.

 

TRACCIA TEMATICA

Realizzato a ridosso degli scioperi di Danzica del 1980, L’uomo di ferro conclude il dittico sulla storia polacca dal secondo dopoguerra all’oggi iniziato quattro anni prima con L’uomo di marmo. Gli interrogativi lasciati aperti dal primo film (che ne sarà del documentario di Agnieszka? Che fine ha fatto Birkut? ..) si chiudono in questa seconda opera nel fuoco di eventi decisivi per la società polacca (e, come si comprese successivamente, per tutti i paesi del blocco sovietico).

Il personaggio di Winkiel (giornalista a suo tempo capace e coraggioso, ora ubriacone e codardo) sembra incarnare in sé la parabola di un ceto intellettuale che aveva sperato in un cambiamento politico del socialismo polacco (dieci anni prima aveva fatto un bel servizio sulla rivolta operaia del Baltico) e che delusa si è rinchiusa in un cinico compromesso con l’esistente. Il figlio di Birkut e sua moglie Agnieszka esprimono, invece, la forza e il coraggio di coloro (proprio quei lavoratori che le autorità avrebbe dovuto rappresentare e che invece hanno trovato un riferimento nella chiesa cattolica) che non si piegano alle minacce e alla repressione e che con la loro volontà di lotta realizzano quella speranza di libertà che animò anni prima l’uomo di marmo Birkut.

La trionfalistica sequenza finale, con il richiamo ai valori del socialismo e con il profilo di Lenin che domina la sala dove è stato firmato l’accordo, sembra far pensare che il regista coltivi la speranza che questa svolta possa portare ad un rinnovamento democratico dall’interno del regime. Il colpo di Stato del dicembre del 1981 e la repressione di Solinarnosc che ne seguirà dimostreranno che lo sclerotizzato apparato burocratico comunista era ormai incapace di riformarsi e che si avviava verso il tracollo finale.

 

VALUTAZIONE CRITICA

Tipico film d’emergenza, cioè strettamente collegato all’incalzare di una realtà che ci si ripropone di riprodurre sullo schermo (come in L’uomo di marmo anche qui si fa ampio ricorso al documentarismo), L’uomo di ferro denuncia in parte questo forte condizionamento dell’esterno sulla finzione cinematografica e l’esigenza di adattare narrativamente la storia del film precedente alla nuova situazione crea squilibrio e forzature, oltreché qualche lungaggine di troppo (la struttura narrativa di L’uomo di marmo era certamente più solida e meglio studiata).

Ciò che, però, va apprezzato del film è il senso di sincera partecipazione morale ed emotiva agli avvenimenti narrati, la forza drammatica di parecchie sequenze (pensiamo alle immagini dell’improvvisato funerale di un operaio vittima della repressione poliziesca del 1970 nel clima livido e plumbeo dell’inverno polacco, a Maciek che erige la croce in memoria del padre sul ponte dove Birkut cadde, alla sua visita all’obitorio al cadavere del genitore) e la incisiva capacità di mescolare alla fiction pezzi di documentario (pensiamo alla folla che si accalca ai cancelli dei cantieri navali, alle immagini inedite in occidente dei blindati per le vie di Danzica nel 1970, all’annuncio dell’avvenuto accordo).

Si direbbe quasi che il film di Wajda tragga il suo fascino maggiore proprio nel sapere fare virtù del modo un po’ improvvisato ed affrettato con cui è stato girato, a ridosso di eventi travolgenti e impensabili sino a pochi anni prima.

 

RIFERIMENTI INTERDISCIPLINARI

Storia             A) La Polonia dal secondo dopoguerra a Solidarnosc.

                       B) Crisi e crollo del comunismo nell’Europa orientale.