Tre metri sopra il cielo
TITOLO ORIGINALE |
Idem |
REGIA |
Luca Lucini |
SOGGETTO |
Dal romanzo omonimo di Federico Moccia |
SCENEGGIATURA |
Teresa Ciabatti, Federico Moccia |
FOTOGRAFIA |
Manfredo Archinto (colori) |
MONTAGGIO |
Fabrizio Rossetti |
INTERPRETI |
Riccardo Scamarcio, Katy Louise Saunders, Mauro Meconi, Maria Chiara Augenti, Claudio Bigagli, Galatea Ranzi |
PRODUZIONE |
Marco Chimenz, Giovanni Stabilini, Riccardo Tozzi per Cattleya |
DURATA |
101’ |
ORIGINE |
Italia, 2004 |
REPERIBILITA' |
Homevideo/Cineteca Pacioli |
INDICAZIONE |
Triennio |
PERCORSI |
Primi amori Amore/La condizione adolescenziale e giovanile/Individuo e Società |
Step è un teppistello che vive di corse in moto clandestine e atti di violenza. Babi è una ragazza modello figlia di papà. Tra i due nasce l’amore, ma tutto sembra contrastare il loro rapporto.
Step e Babi sono due adolescenti assai differenti, se non opposti. Il primo è un piccolo delinquente perdigiorno, la seconda la rampolla un po’ viziata di una ricca famiglia della Roma-bene. La scintilla fatale scatta anche dalla reciproca attrazione tra questi mondi così differenti.
Attorno a loro il panorama è sconfortante: il fratello di Step è uno yuppie insopportabile, la madre di Babi una borghese perbenista e la sua insegnante è odiosa. Meglio cercare per il proprio amore scenari lontani , come il castello fiabesco sul mare. Del resto il motivo della fuga dal mondo così com’è (e cioè non un granché) attraversa l’intero film, sino al finale con la corsa in moto dei due fratelli riconciliati verso non si sa bene dove. E forse anche la morte di Pollo , a suo modo, è una personalissima scelta di fuga.
Quello tra Step e Babi, in fondo, è l’ennesima versione dell’amore romantico che vince ogni cosa, ponendosi come esperienza totalizzante e assolutamente autoreferenziale, se non fosse che alla fine Babi non ce la fa più e prende atto dell’incolmabile distanza che la separa da Step. Il gippone borghese batte la moto anarchica o ci sono storie d’amore così intense che non si possono vivere troppo a lungo, anche se sono destinate ad essere ricordate per sempre?
Tre metri sopra il cielo applica l’antico schema dell’amore contrastato (e impossibile) su di un contesto moderno, che è quello dell’adolescenza dell’ultima generazione, sfiorando senza mai assumerlo in pieno il registro melodrammatico (la morte colpisce solo un personaggio marginale) e tentando anche l’approccio sociologico.
Ed è soprattutto qui che il film mostra i suoi limiti, stentando a fuoriuscire dal sostanziale stereotipo: i personaggi non hanno un credibile spessore umano e psicologico, ma sono schematici e funzionali allo sviluppo del racconto (pensiamo solo alla madre di Babi, alla sua insegnante, al fratello di Step e al seguito di compagni di teppismo). La stessa dinamica narrativa tende a buttar lì le situazioni più che a risolverle o ad approfondirle (pensiamo all’accenno di reciproca complicità tra Step e il padre di Babi, che non trova alcun seguito successivo, per non parlare della fin troppo rapida conversione del fratello di Step).
Lucini, regista formatosi alla scuola del videoclip e della pubblicità, sembra essere decisamente più a suo agio nel mescolare (con quel tanto di ruffianeria accattivante che in questo tipo di film rivolto ad un pubblico adolescenziale è quasi necessaria) sequenze dolciastre di baci e amplessi su spiagge al tramonto a suon di canzoni che a porre degli interrogativi sul perché il mondo d’oggi fa talmente schifo che l’unica soluzione sembra essere la fuga.
L’idea di accompagnare la vicenda con gli inserimenti del DJ radiofonico di Radio Caos (termine con cui forse si allude all’odierna condizione giovanile?), che pure non è male, sembra un po’ troppo copiata da Radiofreccia di Ligabue.
Letteratura italiana a) Il melodramma nella cultura italiana
b) Il romanzo omonimo di Federico Moccia