Il bambino con il pigiama a righe
TITOLO ORIGINALE |
The Boy in the Striped Pyjamas |
REGIA |
Mark Herman |
SOGGETTO |
Dal romanzo omonimo di John Boyn |
SCENEGGIATURA |
Mark Herman |
FOTOGRAFIA |
Benoit Delhomme (colori) |
MONTAGGIO |
Michael Ellis |
MUSICA |
James Horner |
INTERPRETI |
Asa Butterfield, Jack Scanlon, Vera Farmiga, David Thewlis |
PRODUZIONE |
David Heyman per Miramax/BBC Films/Heyday Films |
DURATA |
93’ |
ORIGINE |
Gran Bretagna-Stati Uniti, 2008 |
REPERIBILITA' |
Homevideo-Cineteca Pacioli |
INDICAZIONE |
Biennio-Triennio |
PERCORSI |
Olocausto Antisemitismo/Razzismo, intolleranza, immigrazione, società multietnica/Uomo e Società |
Germania, Seconda Guerra Mondiale. Bruno, otto anni, è costretto, insieme alla mamma e alla sorella maggiore, a lasciare Berlino per stabilirsi in una villa in campagna, assegnata al padre, ufficiale delle SS, che dirige il vicino campo di sterminio. Bruno si sente solo e spaesato e, nonostante i divieti, si avvicina al campo, dove conosce il coetaneo Shmuel, un bambino ebreo internato nel lager. Tra i due nasce una stretta amicizia, all’insaputa dei genitori di Bruno.
Occorre innanzitutto precisare che la vicenda narrata dal film è esclusivo prodotto di fantasia e che nulla del genere è mai accaduto nella realtà. Questo non diminuisce, tuttavia, la dimensione di verosimiglianza del film e la sua portata simbolica. Bruno (e con lui Shmuel), in particolare, è il simbolo dell’infanzia negata. Nel percorso del protagonista si riflette la tragedia di una generazione che si è trovata nella condizione di essere bambini in un momento storico dominato dall’odio e dallo sterminio e a cui sono stati sottratti i beni più preziosi di questa età: l’innocenza, l’ingenuità, il candore, la spensieratezza del gioco e della amicizie. L’agghiacciante epilogo esplicita come non vi sia letteralmente posto per l’infanzia in un contesto che gli adulti hanno devastato (a meno di non subire un brutale lavaggio del cervello come la sorella di Bruno).
Ma il film rimanda ad altri nodi tematici: la vicinanza fisica tra un apparentemente tranquillo ménage familiare con il campo della morte suggerisce una riflessione sull’apparente “normalità” quotidiana degli artefici dell’Olocausto, mentre l’inconsapevolezza della moglie dell’aguzzino chiama in causa l’annosa questione di quanto la maggioranza del popolo tedesco fosse a conoscenza di ciò che avveniva nei lager.
Rispetto al romanzo da cui è tratto, il film opera nel senso di snellire la narrazione, eliminando alcuni passaggi che avevano suscitato qualche perplessità, come soprattutto la visita di Hitler ed Eva Braun al campo, con tanto di autoinvito a cena presso la famiglia del comandante. Nello scritto, poi, la madre appare meno consapevole, più lontana dalla presa di coscienza.
Quel che il film aggiunge di suo è certamente la felice scelta dell’ambientazione, con una dimora che nel suo isolamento nel bosco e nel suo ordinato lindore esprime bene il senso di isolamento dal mondo esterno nel quale vive la famiglia di Bruno. La stessa fotografia impone una limpida solarità estiva che stride con la cupa tragedia che si consuma intorno.
Lodevole, infine, la capacità registica di rimanere costantemente collegato al protagonista, orientando inquadrature e movimenti di macchina ad altezza fisica (ed anche morale) con il piccolo Bruno, così da incentivare al massimo l’immedesimazione con il personaggio .
Italiano e inglese a) Lettura del romanzo omonimo di John Boyne
b) Lettura memorialistica di testimonianza sull’ Olocausto
Storia a) L’antisemitismo nella storia d’Europa
b) Lo sterminio degli Ebrei d’Europa
c) La Seconda Guerra Mondiale
d) Il nazismo e le SS