L'uomo del banco dei pegni
TITOLO ORIGINALE |
The Pawnbroker |
REGIA |
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SOGGETTO |
Dal romanzo omonimo di Edward Lewis Wallant |
SCENEGGIATURA |
David Friedkin, Morton Fine |
FOTOGRAFIA |
Boris Kaufman (bianconero) |
MUSICA |
Quincy Jones |
MONTAGGIO |
Ralph Rosemblum |
INTERPRETI |
Rod Steiger, Geraldine Fitzgerald, Jaime Sanchez, Thelma Oliver |
PRODUZIONE |
The Landau Company |
DURATA |
110' |
ORIGINE |
USA. 1965 |
REPERIBILITA' |
Homevideo/Cineteca Pacioli |
INDICAZIONE |
Classe quinta |
PERCORSI |
Dopo l'Olocausto Antisemitismo/Razzismo, intolleranza, immigrazione, società multietnica/Uomo e Società |
TRAMA
New York. Sopravvissuto ai lager nazisti, dove ha perso tutta la sua famiglia, l'ebreo Nazerman gestisce un banco dei pegni di proprietà del gangster del quartiere. Chiuso in se stesso, rifiuta completamente di aprirsi agli altri. Solo di fronte alla morte del suo commesso Jesus, che si è sacrificato per lui, sembra ritrovare la capacità di vivere.
TRACCIA TEMATICA
L'uomo del banco dei pegni è stato uno dei primi film che ha affrontato il tema dell'Olocausto come memoria lacerante, occupandosi più dei sopravvissuti che delle vittime.
Nazerman non riesce ad elaborare il lutto della scomparsa della sua famiglia e il trauma impresso sulla sua psiche dal lager nazista. Il ricordo della tremenda esperienza affiora continuamente nella sua mente sovrapponendosi alla percezione della realtà che lo circonda.
Il trascinarsi di un irrisolto senso di colpa, tipico di molti sopravvissuti, opprime il suo animo e lo indurisce, isolandolo in un tenebroso sentimento di ostilità nei confronti del genere umano. A contatto con il male assoluto dell'Olocausto Nazerman si è trincerato in una visione cinica ed egoistica della vita.
Solo di fronte alla rivelazione dei sordidi traffici del gangster Rodriguez ed alla morte del suo commesso Jesus subisce una scossa emotiva che fa riaffiorare in lui una coscienza morale e una dimensione umana che sembravano perdute. La volontaria stigmatizzazione allude forse alla necessità di un sacrificio autopunitivo che lo liberi finalmente dal peso insopportabile del passato.
VALUTAZIONE CRITICA
Lumet lavora con grande mestiere (più che con genio e originalità) su diverse opzioni stilistiche e linguistiche che all'inizio degli anni sessanta si erano ormai consolidate. L'uso del bianconero fortemente contrastato (di scuola realistica e documentaristica) che ben si adatta ad esprimere il cupo mondo interiore del protagonista e il contesto di alienazione urbana che lo circonda; l'impostazione teatrale della maggior parte delle sequenze e dei dialoghi (che si riallaccia alla tradizione del dramma psicologico teatrale statunitense); il montaggio nervoso, fatto di fulminei inserti subliminali, che si collega allo sperimentalismo del contemporaneo Cinema europeo.
Va riconosciuto che il regista, nonostante qualche compiacimento e insistenza di troppo, in particolare una recitazione incline ai toni alti e qualche soluzione eccessivamente melodrammatica, riesce a tenere in equilibrio le differenti suggestioni espressive che confluiscono nel film, offrendo il meglio nella creazione di atmosfere compresse e claustrofobiche.
RIFERIMENTI INTERDISCIPLINARI
Storia A) L'antisemitismo nella storia d'Europa.
B) Lo sterminio degli ebrei nel Terzo Reich.
Lingua straniera: inglese Confronto fra il romanzo di E. L. Wallant e il film.
Geografia A) La comunità ebraica di New York.
B) New York: il quartiere di Haarlem.