Viaggio a Kandahar

TITOLO ORIGINALE

Safar è Kandahar

REGIA

Mohsen Makhmalbaf

SOGGETTO E SCENEGGIATURA

Mohsen Makhmalbaf

FOTOGRAFIA

Ebrahim Ghafori (colori)

MONTAGGIO

Mohsen Makhmalbaf

INTERPRETI

Niloufar Pazira, Hassan Tantai

PRODUZIONE

Mohsen Makhmalbaf per Makhmalbaf Productions/Bac Films

DURATA

85’

ORIGINE

Iran-Francia, 2001

REPERIBILITA'

Homevideo/Cineteca Pacioli

INDICAZIONE

Triennio

PERCORSI

Umiliate e offese

La condizione femminile/Individuo e Società

 

Colonialismo, decolonizzazione, Terzo Mondo, problemi del      

sottosviluppo

Novecento/Cinema e storia

 

TRAMA

Estate 1999. Nafass è una donna afghana fuoriuscita dal suo paese e rifugiatasi nel vicino Iran. Quando viene a sapere che la sorella rimasta in Afghanistan è andata in sposa ad un uomo che la umilia, decide di partire  per Kandahar. Il suo viaggio si trasformerà presto in una travagliata odissea. 

 

TRACCIA TEMATICA

 Il regista iraniano Makhmalbaf svolge una denuncia del regime talebano dominante in Afghanistan prima dell’invasione anglo-americana del 2001 (il film è stato girato prima dell’attentato alle due torri di New York). Gli aspetti più retrivi e disumani della società creata dai talebani sono mostrati in tutta la loro cruda drammaticità: l’indottrinamento dei bambini nelle scuole coraniche e soprattutto l’umiliante condizione delle donne, ridotte ad una condizione paraschiavista di cui il famoso burqua è ormai diventato un simbolo  (il film ci informa su tante alte forme di vessazione contro le donne generalmente ignorate in occidente).

Ma la realtà che più colpisce e sconvolge è quello dei tanti mutilati (causati da uno stato di guerra ventennale e soprattutto dall’uso di micidiali mine-antiuomo fornite ai combattenti afghani dagli occidentali), un popolo sofferente cui è dedicata la sequenza più struggente e intensa del film (le protesi paracadutate dagli aerei dell’ONU).

Carico di valenza simbolica l’immagine dell’eclisse finale che si aggiunge al buio indotto dal burqua: l’integralismo fanatico dei talebani come oscuramento della ragione. Un’accusa ferma e spietata , tanto più significativa in quanto proveniente da un regista di formazione e cultura islamica.

 

VALUTAZIONE CRITICA

Viaggio a Kandahar si muove tra due estremi. Da una parte la dimensione documentaristica, da inchiesta giornalistica, che intende consegnare allo spettatore la realtà così come essa si presenta, con il minimo di alterazioni (ricordiamoci della lezione del neorealismo italiano), dall’altra la dimensione visionaria, frutto di creatività ed invenzione, che modifica palesemente la realtà piegandola a precise esigenze espressive (pensiamo alle sequenze del lancio delle protesi e a quella dell’eclisse su tutte). Il pregio del film consiste nella capacità del regista di tenere in equilibrio queste due ispirazioni, dimostrando anzi che forse la finzione (addirittura sottoforma visionaria) assume una maggiore efficacia del semplice documento nel penetrare a fondo nella realtà delle cose, nel comunicare in senso più autentico di ciò che accade (e giustamente è stato detto come lo spettatore occidentale ha imparato assai di più sulla situazione afghana da questo film che da tanti servizi giornalistici e televisivi, che partono dal presupposto che per far capire le cose basta semplicemente mostrarle).

 

RIFERIMENTI INTERDISCIPLINARI

Storia                                                     a) Storia dell’Afghanistan

                                                               b) L’attentato alle Torri gemelle

                                                               c) L’invasione anglo-americana dell’Afghanistan

                                                               d) Il movimento di Al Qaeda e Osama Bin Laden

Religione                                                   La religione mussulmana e l’integralismo islamico dei talebani

Geografia                                                  L’Afghanistan