Censura

Si può dire che la censura esista dall'inizio dei tempi, essendosi sempre preoccupati i governanti di vigilare affinché gli spettacoli e le manifestazioni artistiche ed espressive in genere non travalicassero certi limiti, fissati questi ultimi sulla base del livello di tolleranza politica dei detentori del potere e di quello che è andato configurandosi come il cosiddetto comune senso del pudore (concetto che se può avere una sua validità in riferimento a comunità primitive, risulta assai discutibile se proiettato nel contesto di società complesse ed articolate). I parametri usati dai censori nel corso dei secoli sono andati ovviamente modificandosi, variando secondo il generale clima culturale e le convinzioni morali dominanti. A cominciare dal Medioevo lo Stato ha delegato alla Chiesa cattolica il ruolo di controllore sulla produzione artistica e culturale (ricordiamo il tribunale dell'Inquisizione ed il Sant'Uffizio). Solo con le rivoluzioni liberali dell'Ottocento i governi si sono riappropriati di quella delega che avevano assegnato alla Chiesa, svolgendo in prima persona l'attività di censura.

Se l'avvento della democrazia e della società di massa all'inizio del XX secolo ha da una parte allentato i rigori della censura, dall'altro ha accentuato la vigilanza su un mezzo di comunicazione tanto popolare come il Cinema (è significativo a questo riguardo il fatto che in quasi tutti i paesi europei la censura cinematografica sia stata istituita proprio all'indomani dell'abolizione di quella teatrale).

Praticamente tutti gli Stati del mondo hanno creato apposite commissioni di censura cinematografica di nomina governativa (la prima istituita in Italia risale al 1913) con il compito di visionare i film e, se viene ritenuto opportuno, imporre (preventivamente o a posteriori) una proibizione totale o parziale alla visione nelle sale (in quest'ultimo caso si apportano i famosi tagli) oppure escludere da questa una determinata fascia d'età. Particolare, invece, il caso degli Stati Uniti (e anche di altri paese come la Gran Bretagna, la Germania e il Giappone), dove la censura è esercitata dalla stessa industria cinematografica (si potrebbe parlare in questa circostanza di una specie di autocensura): è storicamente famosa la commissione promossa dalle case di produzione americane alla fine degli anni venti e presieduta da W. H. Hays, che diede il proprio nome ad un celeberrimo codice che impose per quasi trent'anni a registi e sceneggiatori limiti ben precisi alla loro creatività.

Particolarmente rigida nei regimi autoritari e totalitari, nei quali è soprattutto l'ambito politico ad essere oggetto di pesanti limitazioni, nei paesi democratici l'attenzione dei censori si è tradizionalmente appuntata sui margini di libertà con cui i registi hanno trattato temi e situazione di carattere erotico-sessuale. Si potrebbero citare parecchi esempi di film di grande valore contro cui si è accanita la censura italiana. Può bastare a questo riguardo qualche titolo: Totò e Carolina (1955) di M.Monicelli, Rocco e i suoi Fratelli (1959) di L.Visconti, La dolce vita (1959) di F.Fellini, I dolci inganni (1959) di A.Lattuada  e in epoca più recente Salò o le 120 giornate di Sodoma (1976) di P.P. Pasolini e Ultimo tango a Parigi (1972) di B. Bertolucci, che costituisce un caso unico nella storia del Cinema, essendo stato il solo film condannato al rogo (cioè alla distruzione di tutte le copie sul territorio nazionale), anche se totalmente reintegrato una decina d'anni dopo.

In questi ultimi anni le maglie della censura si sono notevolmente allentate ed è raro che una pellicola venga fatta oggetto a divieti o limitazioni. Inoltre sta facendosi sempre più largo nel paese la consapevolezza del carattere ormai anacronistico e illiberale di questo strumento e da più parti se ne chiede l'abolizione (fatta salva ovviamente la conservazione del divieto per fascia d'età per salvaguardare i più giovani da film che potrebbero essere fonte di turbamento).