Western

Genere tipico del Cinema americano e quasi esclusivamente cinematografico, nasce come rielaborazione mitica di un fatto storico: la conquista dei territori dell'Ovest e la nascita della nazione americana. Alla realtà storica si sostituisce una manipolazione in chiave epica degli accadimenti: i pionieri hanno portato la civiltà edificando una nuova società, dove prima regnava la barbarie degli indiani; a difendere la comunità dai fuorilegge e da chi comunque trasgredisce un preciso codice morale si erge la figura dell'eroe virtuoso e disinteressato, che garantisce la finale vittoria del Bene sul Male. Questa in sintesi estrema l'essenza ideologica del Western classico, quello che ha trovato in registi come J. Ford, H. Hawks, R.Walsh i suoi maggior cantori negli anni trenta e quaranta.

A cominciare dagli anni cinquanta, pur nella fedeltà ai suoi presupposti di fondo, il genere acquista inflessioni più malinconiche e problematiche (c'è chi parla di Western del crepuscolo), a cominciare dalla figura dell'eroe, che manifesta dubbi sulla propria identità o avverte un senso di solitudine legata all'incedere inarrestabile della civilizzazione che mette in crisi il suo ruolo. E' questo il caso di registi come A. Mann, W. Wellman, N. Ray, F. Zinneman, G. Stevens ed altri.

Negli anni sessanta e settanta un genere già in aperta crisi viene rivitalizzato da una polemica rivisitazione alimentata dal clima di contestazione di quegli anni. Il genere si confronta così maggiormente con la verità storica, senza per altro abbondare la dimensione leggendaria, e si finisce per mettere l'accento sulle brutalità, le violenze, le ingiustizie e lo sfruttamento di cui è intrisa la conquista del West. In particolare si riconosce che gli indiani sono stati vittime di uno spietato genocidio.

Tra i tanti emerge soprattutto il nome del regista S. Peckinpah.

Al di fuori degli Stati Uniti si segnala nell'Italia degli anni sessanta lo sviluppo del Western all'italiana (citiamo per tutti S. Leone), che riutilizza i materiali del genere secondo un'ottica nuova e decisamente rivoluzionaria: alla base dell'agire dell'eroe non c'è più la fedeltà a precisi imperativi morali, ma la sete di guadagno (egli non è più il buono che si contrappone al cattivo, ma è solo meno cattivo dei suoi avversari), la violenza viene di molto esplicitata ed enfatizzata, sul tutto serpeggia una vena vagamente parodistica e un gusto accentuato per l'eccesso.

Di rilievo negli ultimi decenni la riproposta in chiave crepuscolare-romantica dell'attore-regista C.Eastwood, con film come Il cavaliere pallido (1985) e Gli spietati (1993), dove la nostalgia per l'epopea del genere Western si mescola alla malinconica consapevolezza del suo tramonto definitivo.