Ovosodo

TITOLO ORIGINALE

Idem

REGIA

Paolo Virzì

SOGGETTO E SCENEGGIATURA

Paolo Virzì, Francesco Bruni, Furio Scarpelli

FOTOGRAFIA

Italo Petriccione (colori)

MONTAGGIO

Iacopo Quadri

MUSICA

Battista Lena e Snaporaz

INTERPRETI

Edoardo Gabbriellini, Marco Cocci, Regina Orioli, Nicoletta Braschi, Claudia Pandolfi

PRODUZIONE

Vittorio e Rita Cecchi Gori per C.G.G. Tiger Cinematografica

DURATA

100’

ORIGINE

Italia, 1997

REPERIBILITA’

Homevideo/Cineteca Pacioli

INDICAZIONE

Biennio-Triennio

PERCORSI

Linea d’ombra

Momenti di gioventù/La condizione adolescenziale e giovanile/Uomo e Società

 

TRAMA

Piero Mansani nasce alla metà degli anni settanta a Livorno nel quartiere popolare Ovosodo. Rimasto presto orfano di madre, vive con il fratello handicappato e un padre balordo che ben presto finisce in galera, lasciando la cura dei figli alla sua nuova compagna. Piero stabilisce un forte legame d’affetto con la sua exdocente delle medie Giovanna, che intuendone le potenzialità nelle materie umanistiche lo induce ad iscriversi al Liceo classico. Qui fa la conoscenza di Tommaso, ragazzo anticonformista e ribelle, che tiene nascosto al suo nuovo amico il fatto di essere figlio del più ricco industriale di Livorno. L’incontro con Tommaso apre nuovi orizzonti a Piero, sia sul piano degli interessi culturali, sia su quello delle conoscenze. S’innamora infatti della viziata e volubile cugina dell’amico, ricavandone solo delusioni e una bocciatura all’esame di maturità. Alla fine sposa una vicina di casa e va a lavorare nella fabbrica del padre di Tommaso.

 

TRACCIA TEMATICA

Ovosodo è quello che con un termine tedesco di origine letteraria si chiama Bildungsroman, cioè un racconto di formazione incentrato sul passaggio da una fase ad un’altra dell’esistenza tramite esperienze fondamentali per la costruzione della personalità e del punto di vista sul mondo e le cose.

Piero è un personaggio di estrazione proletaria (se non addirittura sottoproletaria, se pensiamo alla precarietà del suo contesto familiare), che attraverso la professoressa Giovanna e lo spregiudicato Tommaso accede ad un ambiente sociale (il liceo e le altolocate relazioni dell’amico) che non gli appartiene, collocandosi in una zona intermedia tra una sanguigna e schietta cultura popolare che ha segnato la sua infanzia e una dimensione borghese ricca di stimoli e contraddizioni, nella quale stenta ad inserirsi (una posizione di confine tra due realtà distanti, ben espressa dall’opera di divulgazione dei classici letterari che svolge in fabbrica).

Di fronte al duplice tradimento dell’amico Tommaso e di Lisa, Piero torna alle radici, rappresentate da Susy, spontanea e autentica quanto Lisa è artefatta e inaffidabile. Una scelta più subita che meditata e che non lo convince completamente (un uovo sodo che non va né su né giù), forse come niente l’ha mai veramente convinto sino in fondo.

 

VALUTAZIONE CRITICA

Virzì si mantiene fedele al modello della Commedia all’italiana, di cui rappresenta uno dei più originali e convincenti continuatori. In Ovosodo ritroviamo di questo genere centrale nella tradizione cinematografica italiana alcuni elementi fondamentali: il localismo (in questo caso la Toscana) con la conseguente accentuata connotazione linguistica in chiave dialettale, l’umorismo (qui basato soprattutto sull’ironico commento off  del protagonista), la tendenza caricaturale nella delineazione dei personaggi di contorno (sia di quelli antipatici, pensiamo ai compagni di scuola del liceo e ai genitori di Tommaso, sia di quelli simpatici, pensiamo agli operai della fabbrica, agli abitanti del quartiere e perfino al padre di Piero), la vena antiborghese di stampo populista (il mondo dei ricchi è moralmente corrotto, quello dei poveri sano. Antitesi ben espressa dal dualismo Lisa-Susy), il retrogusto amaro che segue al sorriso, il tentativo di offrire uno spaccato (anche solo limitato e parziale) di un pezzo di società (in questo caso il mondo dei giovani e l’universo di quartiere).

Il merito di Virzì va ricercato negli sprazzi di novità che innesta su questa tradizione che sembrava ormai logora e fossilizzata: l’uso di attori sconosciuti o quasi (anziché di grandi nomi, magari d’origine televisiva), assai in parte e credibili, la mancanza di volgarità, la simpatia per i luoghi e i personaggi (di contro alla compiaciuta cattiveria di tanti maestri del genere, come D. Risi e M. Monicelli), il felice equilibrio di una sceneggiatura che non vive solo di trovate isolate (magari anche divertenti o carine), ma riesce a costruire una storia solida e coerente.