Paranoid Park
TITOLO ORIGINALE |
Idem |
REGIA |
Gus Van Sant |
SOGGETTO |
Dal romanzo omonimo di Blake Nelson |
SCENEGGIATURA |
Gus Van Sant |
FOTOGRAFIA |
Christopher Doyle, Rain Kathy Li (colori) |
MONTAGGIO |
Gus Van Sant |
INTERPRETI |
Gabe Nevis, Daniel Lu, Taylor Momsen |
PRODUZIONE |
Charles Gilibert, Nathanael Karmitz, Neil Kopp per Mk2 |
DURATA |
85’ |
ORIGINE |
Stati Uniti-Francia, 2007 |
REPERIBILITA' |
Homevideo-Cineteca Pacioli |
INDICAZIONE |
Classe quinta |
PERCORSI |
Gioventù violenta/L’età acerba Il disagio/La condizione adolescenziale e giovanile/Individuo e Società |
Portland (USA). Il sedicenne Alex si dedica quasi esclusivamente al passatempo dello skateboard. Un giorno uccide accidentalmente un agente di sicurezza ferroviario e sceglie di non confessare a nessuno l’accaduto.
Paranoid Park è un film sulla tremenda fragilità e vulnerabilità dell’adolescenza (eloquente l’immagine delle evoluzioni sulle piste dei ragazzi con lo skateboard riprese al ralenti a metaforizzare quel costante pericolo di fuoriuscire dai bordi implicato nella loro condizione esistenziale) e sulla mancanza di autorevoli e credibili punti di riferimento adulti in grado di costituire una rete di protezione.
Alex è abbandonato a se stesso, dedito ad un’esistenza randagia e apatica, errabonda e anaffettiva, nella quale lo skateboard diventa una specie di droga che isola dalla realtà e anestetizza la coscienza. L’irrompere del senso di colpa nella banalità uniforme nella propria vita sembra determinare una scossa emotiva.
Il regista non ci consegna alcuna valutazione morale ed osserva con fredda distanza il suo personaggio. Non gli interessa tanto la vicenda giudiziaria (non sapremo se Alex verrà scoperto) , quanto quella interiore del protagonista (pensiamo al diario cui confida le sue considerazioni), di cui ci fornisce una fenomenologia comportamentale (quanti adolescenti assomigliano ad Alex?) che sottolinea ad ogni sequenza il vuoto e l’inquietudine in cui si dibatte.
Il film opta per un registro stilistico sperimentale e antispettacolare, sganciato com’è dalla tradizionale linearità narrativa e da ogni ancoraggio di genere (sembrerebbe un giallo, ma non lo è). Siamo totalmente lontani dalla cinematografia di consumo sull’adolescenza (fatta di banali stereotipi e luoghi comuni sul disagio giovanile), piuttosto Paranoid Park ci introduce in modalità di osservazione dense di atmosfere oniriche (la vicenda a ben pensare potrebbe essere anche un brutto sogno) e rarefatte, che intrecciandosi con un gusto fotografico di aspro realismo (è stata usata una cinepresa super8 e anche una videocamera, strumenti tipici di un cinema amatoriale a stretto contatto con il reale) comunica allo spettatore una forte sensazione di disagio. Facendoci aderire al corpo e alla psiche di Alex (il film è rigorosamente a focalizzazione interna) il regista ci crea quasi un profondo senso di angoscia disorientante e claustrofobica.
Lingua inglese Paranoid Park di Blake Nelson
Educazione fisica Lo skateboard