Kammerspielfilm

Il termine significa all’incirca Cinema da camera e dopo l’espressionismo è la seconda grande corrente del cinema muto tedesco degli anni venti. Contrariamente alla deformazione e manipolazione espressionista il Kammerspiel si propone un ritorno alla realtà: gente comune che non ha nulla di straordinario, scenografie legate alla dimessa quotidianità di interni proletari o piccolo-borghesi, particolare cura per il dettaglio in grado di connotare la collocazione sociale di ambienti e persone, estrema attenzione all’analisi psicologica dei personaggi e conseguente frequente uso del primo piano nel tentativo di penetrare nei loro stati d’animo, recitazione più misurata, meno enfatica e gesticolante, mobilità della macchina da presa per compensare la ristrettezza fisica di ambienti claustrofobici, quasi sempre costituiti da interni.

Le storie proposte da questa corrente abbandonano completamente i casi estremi degli eroi del male proposti dall’espressionismo, che aveva fatto della trasgressione della verosimiglianza e della frequentazione dei territori del fantastico e dell’irreale la propria caratteristica predominante, pur rimanendo, tuttavia, legate ad una visione sostanzialmente desolata e pessimistica della realtà e della natura umana. Sulla maggior parte delle vicende raccontate dal Kammerspiel incombe il senso di un Destino ineluttabile e avverso che condanna i personaggi ad un’esistenza di infelicità e disperazione senza possibilità di riscatto. Ne deriva un Cinema che comunica una sensazione di perturbante inquietudine e cupa mestizia, non molto differente, in questo senso, dall’angoscia trasmessa dall’ espressionismo, con cui per altro il Kammerspiel condivide l’uso in chiave metaforica degli oggetti e l’accentuazione dei contrasti chiaroscurali dell’illuminazione. Si potrebbe dire che una visione del mondo ispirata a tonalità dolenti e tenebrose sia ciò che caratterizza il Cinema tedesco tra la prima guerra mondiale e l’ascesa al potere del nazismo, tanto da suggerire a qualche studioso la suggestione che esso contenga in sé un qualche presentimento dell’immane tragedia verso cui di lì a poco sarebbe precipitata la nazione germanica e con essa l’umanità intera.

Un altro terreno di contatto tra Kammerspiel ed espressionismo va ricercato nel fatto che i due movimenti condivisero gli stessi registi e sceneggiatori. Tra i primi ricordiamo F. W. Murnau, il cui film L’ultima risata (1924) è considerato il capolavoro del Kammerspiel, P. Leni con La scala di servizio (1921), Lupu-Pick con La notte di S. Silvestro (1924), G. W. Pabst con La via senza gioia (1925); tra i secondi spicca il nome di C. Mayer, che scrisse la sceneggiatura di molte pellicole di questa scuola, dopo aver ideato la storia del grande capolavoro espressionista Il gabinetto del dottor Caligari (1920).