Kippur

TITOLO ORIGINALE

Idem

REGIA

Amos Gitai

SOGGETTO E SCENEGGIATURA

Amos Gitai, Marie-José Sanselme

FOTOGRAFIA

Renato Berta (colori)

MUSICA

Jan Garbarek

MONTAGGIO

Monica Coleman

INTERPRETI

Liron Levo, Tomer Ruso, Uri Ran Klauzner, Yoram Hattab

PRODUZIONE

Michel Propper, Amos Gitai per Agav Hafakot/MP Productions/R&C Produzioni

DURATA

123'

ORIGINE

Israele/Francia/Italia, 2000

REPERIBILITA'

Homevideo/Cineteca Pacioli

INDICAZIONE

Classe quinta

PERCORSI

Mettete dei fiori nei vostri cannoni

Antimilitarismo, pacifismo/Individuo e Società

 

Questione arabo-israeliana

Novecento/Cinema e storia

 

TRAMA

Ottobre, 1973. Scoppia la guerra del Kippur tra Israele e i paesi arabi circostanti. Due giovani israeliani, Weinraub e Rousso, sono arruolati in una squadra di soccorso, che raccoglie i feriti dal fronte del Golan servendosi di elicotteri. Si tratta di un compito rischioso e difficile, dovendo il reparto di soccorso recuperare i feriti a ridosso della prima linea, sotto il fuoco e le incursioni nemiche. Durante il tragitto di ritorno da una delle tante missioni, l'elicottero viene colpito da un missile siriano e precipita, provocando il ferimento di Weinraub, di Rousso e degli altri membri dell'equipaggio.

 

TRACCIA TEMATICA

Kippur esprime l’orrore della guerra (di ogni guerra, il riferimento al conflitto arabo–israeliano del 1973, cui partecipò l’allora ventisettenne regista Gitai non è vincolante ai fini della riflessione cui induce film, gli eventi sono come svuotati di ogni riferimento storico-politico) non attraverso le azioni belliche in prima linea (come la maggior parte dei film bellici, siano o meno pervasi da intenti antimilitaristi), ma mostrando il lavoro dei soccorritori nelle retrovie (il nemico non si vede mai). La denuncia dell’insensata carneficina provocata dalla guerra è veicolata dalla crudezza realistica di immagini che del conflitto ci propongono le conseguenze sui corpi e sulle coscienze. L’assurdità della guerra non emerge dai discorsi dei personaggi o dall’insensibilità crudele delle gerarchie militari, essa non è tanto dimostrata quanto mostrata e sentita (il faticoso annaspare dei soccorritori immersi nel fango del campo di battaglia, la carrellata aerea sull’altopiano del Golan attraversato da carriarmati che sembrano muoversi alla cieca, il fragore improvviso del razzo che colpisce l’elicottero o il rumore dei combattimenti che fa da sottofondo alla maggior parte delle sequenze). Kippur, in questo senso, è un film irraccontabile e difficilmente leggibile su un piano esclusivamente tematico.

La violenza della guerra si colloca significativamente fra un prologo e un finale identici, che nell’esaltazione liberatoria di una sensuale fisicità avvolta nei colori sembrano alludere ad una condizione di primigenia armonia e comunione con il mondo da cui il protagonista è stato brutalmente sottratto per essere temporaneamente collocato in una dimensione scialba e incolore (prevalgono, infatti, le fredde tonalità del marrone del fango e del grigio delle armi e dei mezzi militari). Che questo voglia rappresentare la cacciata dell’uomo dal paradiso terrestre per essere scagliato nell’inferno della Storia?

 

VALUTAZIONE CRITICA

All’esaltazione dell’eroismo e del valore guerriero di tante pellicole d’ispirazione patriottica e all’utilizzazione dello scontro bellico come fattore di spettacolarità (pensiamo ad un film come Salvate il soldato Ryan) o all’analisi in chiave pacifista della guerra Kippur contrappone un totale svuotamento di tensione argomentativa (sia a favore, sia contro la guerra) per privilegiare la dimensione descrittiva ed espressiva, alla tradizionale narrazione forte che sorregge un solido impianto narrativo sostituisce l’accostamento di situazioni a se stanti, ognuna autonoma nel proprio sviluppo. Gitai non racconta, ma osserva con uno sguardo sobrio e essenziale che acquista un forte valore di moralità (non c’è alcun compiacimento e tentazione estetizzante, ma un severo giudizio di condanna che è tanto più efficace quanto meno è urlato e sbandierato).

Kippur non è certamente un film facile, anzi per un pubblico assuefatto a codici narrativi tradizionali può risultare anche disturbante e noioso. La mancanza di una precisa leggibilità del rapporto causa-effetto, le brusche ellissi, l’estrema dilatazione temporale di alcune scene, l’uso insistito dei piani-sequenza, il netto prevalere della dimensione analitica su quella sintetica, l’assenza di ogni concessione spettacolare, sono tutti elementi che disorientano lo spettatore e ne alimentano il disagio. E questa reazione di fastidio e insostenibilità è proprio ciò che Gitai persegue per cercare di comunicare il trauma profondo che la guerra ha provocato in lui. Come spesso avviene quando il linguaggio cinematografico ricorre alla tecnica del prolungamento dell’inquadratura tramite il piano–sequenza (quello del recupero di un ferito nel fango dura ben dieci minuti), rinunciando al montaggio, il massimo di realismo che dovrebbe scaturire da questo procedimento si trasforma nel suo contrario, cioè nella sensazione dell’incubo surreale e oppressivo, che è esattamente ciò che Gitai vuole trasmetterci.

 

RIFERIMENTI INTERDISCIPLINARI

Storia     A) Lo Stato d’Israele dalla fondazione ai nostri giorni e la questione palestinese

    B) Le guerre arabo-israeliane

    C) La guerra del Kippur

Geografia    Il Medio Oriente.